SAN MURIALDO, UN MODELLO DI VERO RIFORMATORE NEL SOCIALE.

Nell’eccellente libro “L’Opzione Benedetto”, l’autore scrive che il Cristianesimo per essere credibile deve evangelizzare attraverso il BELLO e il BENE. In pratica l’ARTE e i SANTI, sono la migliore forma di apologetica per la nostra fede. Pertanto presentare la straordinaria figura di san Murialdo è fondamentale…

LA PROVOCAZIONE DEI SANTI TORINESI, NON SOLO FONDATORI DI CONGREGAZIONI RELIGIOSE, MA PROMOTORI DI APOSTOLATO SOCIALE E DIFENSORI DI CLASSI DEBOLI E LAVORATRICI…

Ci sono tanti motivi per leggere un libro, tra questi c’è sicuramente quello di poter arricchire le proprie conoscenze, i propri studi. Ma leggere “Il Pioniere. Leonardo Murialdo tra i giovani e mondo operaio, di Pier Giuseppe Accornero, edizioni Paoline (1992), non è solo questione di conoscenza, ma rappresenta un testo che può essere utile a chi opera nel sociale, nel campo educativo. Il testo sul grande santo torinese dà ottime risposte all’emergenza educativa che rimane, anche se lo ignoriamo, la questione delle questioni.

Accornero, sacerdote torinese presenta in soli 300 pagine la poliedrica figura di San Leonardo Murialdo, vissuto in pieno Ottocento nella capitale sabauda sotto il Regno di Sardegna, nella società borghese liberale e massonica.

Dalla tavola cronologica, il lettore percepisce la straordinarietà delle opere che il santo ha compiuto in tutta la sua vita. Fu un pioniere in moltissimi campi della religiosità popolare, della formazione dei giovani, della sociologia cristiana e questo per un sacerdote rappresenta la normalità. Ma Murialdo, fu anche un pioniere nel sociale: fu promotore dell’apostolato sociale, difensore della classe lavoratrice, animatore della stampa cattolica e fondatore di un istituto religioso, la congregazione di San Giuseppe.

Murialdo “è il più torinese, e anche il più moderno – per nascita, mentalità, temperamento, formazione e realizzazioni – fra i santi e i beati che nella prima capitale d’Italia hanno vissuto e lavorato”. Esiste una copiosa letteratura sui tanti sacerdoti, laici e vescovi che hanno ben operato in quel periodo a Torino. A questo proposito, il compianto monsignor Franco Peradotto, vicario episcopale e generale, e per una vita direttore de “La Voce del popolo” ha scritto che si può parlare di una vera e propria “santità torinese del secolo scorso”, una santità “contagiosa”.

Scrive Peradotto,“le provocazioni della santità torinese, a partire da quella dei preti, ma non solo quella, hanno sempre ispirato nuovi modelli. Basti pensare alla spiritualità del clero diocesano che ha avuto un indelebile punto di riferimento in don Giuseppe Cafasso; agli innumerevoli ‘cottolengo’ che accolgono malati, poveri diseredati, non solo in Italia ma anche in Europa e in altri continenti; agli oratori maschili e femminili che si rifanno a don Bosco; alle scuole professionali di matrice cattolica che si ispirano alle esperienze del Murialdo. Quella torinese è una santità non solo clericale ma anche laicale”.

Per monsignor Peradotto il motto paolino e poi cottolenghino: “Charitas Christi urget nos”, vale per tutti questi santi. Inoltre il vicario episcopale sottolinea la straordinaria e feconda attività che non nasce a tavolino, nei centri studi, o nei laboratori sociologici, “ma è la traduzione concreta dell’evangelico ‘farsi prossimo’, presentato da Gesù. Sono profondi osservatori e scrutatori della città. Creano supplenze e integrazioni. Provocano profeticamente, con gesti e scelte che soltanto chi ha Dio con sé, e ci crede, è capace di compiere”.

Questi santi secondo Peradotto,“camminano con i tempi e scuotono lentezze e ritardi. Sono riformatori sociali alla loro maniera: intuitivi più che programmatori. Guardano persone e cose come Cristo e vanno avanti. E’ una santità per modelli, proponibile e credibile, perchè costruita sui fatti e non sulle parole, con un pragmatismo tutto torinese, fatto spesso di energia apostolica e di dolcezza evangelica”.

Non poteva essere descritta meglio questa vera scuola di santità, che ha visto tra i principali protagonisti giganti come Giuseppe Cafasso, Giovanni Bosco e Leonardo Murialdo.

In un ben documentato articolo apparso su Cristianità, ha trattato l’argomento anche il sociologo delle religioni, Massimo Introvigne,“Nasce e si sviluppa in Piemonte e nella Savoia una ricca cultura cattolica, un’autentica cultura della Contro-Rivoluzione, la cui storia, in gran parte, non è ancora stata scritta”. (M. Introvigne, San Murialdo (1828-1900), n.44, dicembre 1978, Cristianità). Una scuola che secondo il sociologo torinese si contrappone a quel filone rivoluzionario del Piemonte riformista ed eretico, giansenista e gallicano e successivamente a quella “scuola di Torino” che va da Gobetti a Gramsci”.

Padre Antonio Rosso, in uno studio accurato, “Piemonte santo”, conta non meno di 90 tra santi e beati, venerabili e servi di Dio. In questa schiera vi sono rappresentati tutti gli strati sociali della popolazione: due regine, un principe e una principessa; 12 laici di cui 4 coniugati, e tra questi laici il campione più affascinante e simpatico è Pier Giorgio Frassati. Seguono poi nei “super registri” del paradiso, cardinali, vescovi, parroci, religiosi e religiose. Inoltre, a questi bisogna aggiungere, un secondo elenco di uomini e donne di spicco per la loro pietà e per il loro apostolato sociale: si tratta di oltre 200 “santi” in gran parte laici e laiche.

Questa straordinaria ricchezza umana e cristiana, innervata di industriosità e di eroismo, l’ha capita al volo, e non poteva essere così, il grande Giovanni Paolo II. Infatti nelle due visite a Torino, papa Wojtyla, ha fatto esplicito riferimento all‘anima di Torino”, alle dimensioni spirituali a misura d’uomo, aperta ai valori del bello, del bene, del vero”. Parlando ai torinesi, il papa si esprimeva: “Mi viene incontro l’anima cristiana, cattolica di Torino, di cui sono testimonianza la diffusione del messaggio evangelico nella città e nelle valli, la straordinaria fioritura delle abbazie medievali, la tradizione di un’ordinata vita parrocchiale”. E poi non poteva mancare il riferimento chiaro alla Torino che ha dato al mondo le figure come il Cottolengo, Cafasso, don Bosco, Murialdo, Maria Mazzarello.

Accornero sottolinea nel suo libro che nei nove discorsi che ha fatto il papa polacco, spesso ha citato Leonardo Murialdo per l’apporto che ha offerto nel campo della promozione umana, dell’educazione dei giovani, della difesa degli apprendisti, della valorizzazione del laicato, dell’impulso al movimento sociale dei cattolici italiani.

Torino è stata all’avanguardia della formazione professionale della gioventù che è andata di pari passo con quella religiosa e morale[…]”. Giovanni Paolo II si lascia andare a una riflessione spontanea ma calzante: “Perchè tanti santi qui a Torino?” Che cosa significa questo ai nostri giorni? “Che cosa vuol dire la presenza di san Giovanni Bosco, san Giuseppe Cafasso, san Giuseppe Benedetto Cottolengo, san Leonardo Murialdo e tutti gli altri santi e sante a Torino? Vuol dire una sola cosa: la divina chiamata alla conversione”. In pratica per Giovanni Paolo II questa esplosione di santità significava un riferimento efficace per una nuova evangelizzazione e un ulteriore arricchimento di santità.

Accornero nel testo racconta meticolosamente la straordinaria figura di san Murialdo, sottolineando, in particolare, la sua “scelta preferenziale per i poveri”, facendosi povero, lui che proveniva da una famiglia borghese e ricca. Una scelta che peraltro hanno condiviso le altre figure esemplari contemporanee a lui.

Leonardo Murialdo, Giovanni Bosco, Giovanni Cocco, sono i tre grandi, “capofila di una rivoluzione che cantano fuori dal coro”, tutti e tre intuiscono, più degli altri, i problemi della città, della nuova realtà urbana, in particolare, “i drammi dei giovani, ai quali si dedicano anima e corpo, per favorire in loro una trasformazione da ragazzi abbandonati, discoli, dequalificati in lavoratori professionalmente attivi, capaci di inserirsi positivamente nel movimento dello sviluppo, in cittadini onesti e in bravi cristiani”. I problemi si ripetono. Attorno a loro gravitano decine di sacerdoti, collaboratori laici e benefattori.

Nasceva una nuova classe di sacerdoti che dimenticando la loro provenienza si sentivano affratellati nel comune lavoro di educazione popolare negli oratori o nelle opere congiunte come l’assistenza durante il lavoro, nelle malattie o nelle carceri.

A questo proposito don Pietro Stella, il maggior storico di don Bosco, osserva: “ la loro è una risposta civile e religiosa al tempo stessa. Con i loro oratori, i corsi di avviamento professionale, le scuole, i collegi, le tipografie, tutti e tre, seppure con personalità, sensibilità e stili spiccatamente diversi – si aggiudicano il titolo di ‘benefattori della cultura popolare’”.

SAN MURIALDO, UN GRANDE APOSTOLO CIVICO E SOCIALE DI ECCEZIONALE ATTUALITA’.

Nella Torino cattolica dell’Ottocento nasce, una eccezionale fioritura di santità, di cultura, di azione civica, nonché di opere caritative sull’esempio illustre di san Giuseppe Cottolengo. Intorno al Convitto Ecclesiastico di Torino, fondato da Pio Brunone Lanteri e dal teologo Luigi Guala, si sviluppa un’opera di risveglio cattolico, in funzione antigiansenista e antiliberale, di cui dopo diverrà ben presto animatore san Giuseppe Cafasso, che con la sua direzione del Convitto e con i suoi esercizi spirituali educa una intera generazione in cui saranno numerosi i santi. A cominciare dalla famiglia salesiana (san Giovanni Bosco, san Domenico Savio, santa Maria Domenica Mazzarello, il beato Michele Rua).

Fra le luci di questo quadro magnifico brilla in modo tutto particolare san Leonardo Murialdo, forse il massimo protagonista dell’apostolato civico e sociale dell’Ottocento torinese”. Nella ricorrenza del 150° anniversario della sua nascita, il professore Massimo Introvigne riteneva opportuno farlo conoscere con un documentato articolo sulla rivista Cristianità, anche perché era ignoto ai più.

Intanto nel libro “Il Pioniere. Leonardo Murialdo tra i giovani e mondo operaio”, che ho letto nelle fredde serate siciliane di fine anno, Pier Giuseppe Accornero, evidenzia il grande impegno dei tre apostoli rivoluzionari (don Cocchi, don Bosco, don Murialdo), nel cogliere i pericoli della vita mondana della città, il luogo del male, che dissipa i valori della cultura contadina. Ma nello stesso tempo però si rendono conto che è una realtà che bisogna affrontare per cercare di renderla più umana e cristiana. Bisogna immergersi nella città per capire i problemi, non limitarsi alla semplice condanna.

I tre in pratica attuano una nuova pastorale giovanile e operaia: sostanzialmente si tratta di “raccogliere quei giovani o offrire loro una casa, un luogo di incontro e di divertimento, la possibilità di un lavoro, una cultura di base, che non lasci indifesi e disarmati davanti ai fenomeni nuovi, agli interrogativi inquietanti a all’ingordigia dei padroni sfruttatori”.

Pertanto “la città diventa luogo privilegiato di attività pastorale”. Questa opera di intensa evangelizzazione vede impegnati una serie di personaggi a cominciare dai soliti, Giuseppe Cafasso, Giuseppe Allamano, Giovanni Battista Bertagna, Giovanni Cagliero, Giuseppe Cottolengo, Domenico Savio e tanti altri, una carrellata di nomi, una nazionale della santità.

In pratica nell’800 è stata la Chiesa a prendersi cura dei giovani e dei loro bisogni, oggi è ancora la Chiesa che alza la voce a favore dei giovani, penso all’ammonimento, alla denuncia di papa Francesco nell’omelia del Te Deum di fine anno, nei confronti della nostra società che ha costretto i nostri giovani ad emigrare a fuggire all’estero in cerca di lavoro. «Abbiamo creato una cultura che, da una parte, idolatra la giovinezza cercando di renderla eterna», ha detto il Pontefice, «ma, paradossalmente, abbiamo condannato i nostri giovani a non avere uno spazio di reale inserimento, perché lentamente li abbiamo emarginati dalla vita pubblica obbligandoli a emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono o che non permettono loro di proiettarsi in un domani. Abbiamo privilegiato la speculazione invece di lavori dignitosi e genuini che permettano loro di essere protagonisti attivi nella vita della nostra società».

Poi ha aggiunto: «Ci aspettiamo da loro ed esigiamo che siano fermento di futuro ma li discriminiamo e li ‘condanniamo’ a bussare a porte che per lo più rimangono chiuse”. Ha così esortato ad «aiutare i nostri giovani a ritrovare, qui nella loro terra, nella loro patria, orizzonti concreti di un futuro da costruire. Non priviamoci», ha detto ancora, «della forza delle loro mani, delle loro menti, delle loro capacità di profetizzare i sogni dei loro anziani (cfr Gl 3,1).

Se vogliamo puntare a un futuro che sia degno di loro, potremo raggiungerlo solo scommettendo su una vera inclusione: quella che dà il lavoro dignitoso, libero, creativo, partecipativo e solidale».

Ritornando a san Murialdo, Accornero, ricorda che il nostro amava molto una frase: “Aprire un oratorio è chiudere una prigione”. Una frase che si contrappone a quella più celebre ma laica: “aprire una scuola è chiudere una prigione”. Anche perchè la separazione dell’istruzione dall’educazione religiosa, operata dallo Stato liberale non ha prodotto la diminuzione dei delitti, in realtà si sono quadruplicati e per questo è stato necessario aggiungere nuove prigioni.

E’ curioso il particolare riportato da Accornero come San Murialdo cercava i ragazzini, in pratica amava suonare una campanella per attirare la loro curiosità. “Bisogna stanarli dai nascondigli e con infinita pazienza, promettendo qualche regalo, convincerli ad andare a giocare nell’oratorio[…]”. Infatti Murialdo per attirare i ragazzini valorizza tutti i tipi di giochi.

Ma il nostro santo è stato anche come abbiamo sottolineato un apostolo civico e sociale operando a favore degli operai dell’industria e contro il loro sfruttamento da parte della speculazione del primo liberismo e capitalismo pratico. Per questo motivo Murialdo si adopera di organizzare cristianamente il lavoro fondato sulla giustizia e carità evangelica.

A questo proposito ha fondato nel 1833 anche un giornale a favore degli operai: “La Voce dell’Operaio”, “la prima pubblicazione politico-religiosa cattolica italiana destinata ai ceti popolari. – Scrive Introvigne –“essa ebbe amplissima diffusione, non solo nel Settentrione ma in tutta Italia, fino in Sicilia e in Puglia[…] Attorno alla ‘Voce’ san Leonardo consolidò le associazioni operaie cattoliche da lui fondate come ‘società cristiane d’operai che si contrappongono alle società settarie aggregate alla Internazionale’, benemerite iniziative lodate da leone XIII e poi da san Pio X e attaccate dalla stampa filomassonica come ‘società operaie gesuitiche’, ‘covi di nemici della Patria, ‘cellule papiste e clericali’” (M. Introvigne, San Leonardo Murialdo (1828-1900), n.44 dicembre 1978, Cristianità).

Quindi organizza, primo in Italia, un Consiglio di collocamento, per l’orientamento al lavoro, un “Comitato di collocamento” per la ricerca del lavoro, infine, un “Comitato di sorveglianza” per la visita ai giovani lavoratori. Murialdo si prefigge che nessun giovane deve uscire dalle sue istituzioni senza un mestiere o una professione, senza la certezza di un posto di lavoro. Non è che dobbiamo riesumare San Murialdo per far trovare lavoro ai nostri giovani?

Nell’ultimo periodo della sua vita Murialdo profeticamente mise in guardia i cattolici dai pericoli costituiti “dalla nuova forza sovversiva e anticristiana che si andava organizzando: il comunismo”. Il santo torinese auspicava una “reazione cattolica contro i progressi dell’Internazionale Comunista e a riproporre la necessità di un apostolato presso gli operai che, scristianizzati dalla propaganda liberal-massonica, divenivano poi facile preda dell’attivismo marxista”. A questo proposito, in un discorso del 1882, Murialdo dichiarava: “se non si contrappone un argine alle idee sovversive ed atee dell’Internazionale. La Rivoluzione con i suoi eccidi e le sue rovine potrebbe prevalere anche nella nostra Patria”.

San Murialdo è convinto che una società senza Dio muore, per questo propone di fare una vita di preghiera e di apostolato sociale tra il proletariato urbano e rurale di Torino. Bisogna ritornare al vangelo, è l’unico rimedio. “In una società dove si dimentica Dio e si disprezza il Vangelo, il povero e l’operaio saranno ridotti in schiavitù, e ritornerà l’oppressione dell’uomo per mezzo dell’uomo, generando miseria, ribellione, odio di classe. Solo il Vangelo, – afferma Murialdo –che predica la dignità, la fratellanza fra gli uomini, il senso della coscienza, e la Chiesa che attua la carità e la giustizia, possono liberare l’uomo e la società dalle nuove schiavitù”. Il santo torinese considerava utopistica una società fondata sull’uguaglianza assoluta degli uomini. Pertanto “ogni economia sociale che voglia risolvere la questione operaia deve riposare sulla religione, sulla morale, sull’educazione, sull’organizzazione del lavoro”. Diversi studi, concordano nel definire Murialdo, l’anima del movimento operaio cristiano a Torino e in Italia. Per Murialdo “è urgente moralizzare le officine e gli ambienti del lavoro mediante opere e iniziative cristiane. Occorre ricondurre il giovane operaio alla Chiesa”. Così alla vigilia della enciclica sociale Rerum Novarum di Leone XIII, promulgata nel 1891, le opere religiose-sociali di san Murialdo diventano una vera fucina di preparazione dell’enciclica stessa. Un particolare ben evidenziato da Introvigne, “se c’è chi ha studiato ‘i tempi e gli uomini che prepararono la Rerum Novarum‘, se la storia del cattolicesimo contro-rivoluzionario dell’Ottocento è la storia dei tempi e degli uomini che prepararono il Sillabo, san Leonardo Murialdo, zelantissimo nel diffondere e nel praticare la dottrina sociale della Chiesa, può essere definito il significativo preparatore del moto proprio di san Pio X”.

LE GRANDI BATTAGLIE DI MURIALDO CONTRO LA MASSONERIA E LE IDEOLOGIE DELL’OTTOCENTO.

Sia Accornero che Introvigne per i loro studi su San Murialdo fanno ampio riferimento alla monumentale opera di Armando Castellani, ricchissima di informazioni sul santo torinese.

Murialdo è stato un grande comunicatore, infatti incisiva e vasta è stata la sua attività nel settore della stampa popolare, sociale, educativa, che egli inserisce nel più ampio contesto della cultura, dell’educazione cristiana e della formazione di una corretta opinione pubblica. “La verità condita con la carità”, è il suo motto.

Una delle preoccupazioni fondamentali di san Leonardo, come del già venerabile Lanteri, fu quella della buona stampa. “La Rivoluzione – diceva – spadroneggia oggi il mondo; sì, ma perchè si è impossessata della stampa quotidiana, che forma il cibo quotidiano di tutti i cittadini”. Praticamente secondo Murialdo, la stampa, “liberale, ossia anticattolica”, domina dappertutto, peraltro, “è l’arma della Rivoluzione, dell’incredulità, dell’errore, della framassoneria”. Come reagire a questa egemonia? Questo nemico, bisogna, “combatterlo con le sue stesse armi e non dare tregua alla setta”; sostanzialmente occorre, “opporre alla stampa liberal-massonica una stampa cattolica”. Ecco perchè nacquero associazioni per la diffusione della buona stampa, seguendo il programma che già era stato delle Amicizie lanteriane, e anche quello analogo di iniziative francesi.

Ben presto Murialdo fu nominato presidente della sezione stampa dell’Opera dei Congressi. “Nell’apostolato librario impegnò anche le spose e le madri cristiane, – scrive il professore Massimo Introvigne- affinchè in questo senso operassero anzitutto nelle loro famiglie, creando un Movimento femminile della buona stampa. Organizzò pure, in modo sistematico, la diffusione dei giornali cattolici, privilegiando le pubblicazioni più intransigenti[…]”, in particolare l’Armonia, e poi L’Unità Cattolica, del teologo don Giacomo Margotti. Praticamente san Leonardo considerò sempre “il giornalismo come un vero apostolato, importante e necessario: e sognava ‘giornalisti cattolici’ che fossero ‘ i nuovi crociati e cavalieri dell’epoca moderna’”. (M. Introvigne, San Murialdo (1820-1900), n.44 dicembre 1978, Cristianità)

Diverse sono le iniziative di san Murialdo in questo settore, si va da un catalogo dei buoni libri per la gioventù, alla prima “Biblioteca circolante cattolica torinese”, fino al settimanale diocesano“La Voce del popolo”. Le attività di apostolato religioso sociale vengono incoraggiate da Pio IX e poi da Leone XIII, con la pubblicazione dell’enciclica, “Etsi nos”. Leone XIII esorta i cattolici a favorire e promuovere in tutti i modi la buona stampa per fronteggiare l’anticlericalismo massonico, il socialismo materialistico e il liberalismo rivoluzionario.

L’epoca in cui è vissuto il nostro santo vedeva dispiegarsi soprattutto a Torino una massiccia propaganda valdese ed evangelica, finanziata dai protestanti inglesi e svizzeri e incoraggiata da Cavour. In pratica secondo Introvigne, “le autorità liberali e massoniche del Piemonte risorgimentale cercavano di servirsi delle sette protestanti per estirpare il cattolicesimo presso i ceti popolari”. Fu don Bosco a chiamare Murialdo in prima linea nell’azione antiprotestantica, nominandolo direttore dell’oratorio San Luigi, che era vicino a un tempio valdese di Torino, i cui frequentatori sovente assalivano gli alunni dell’oratorio con sassaiole. Non solo ma pare che anche dalle finestre qualcuno si mise a sparare contro i sacerdoti del San Luigi.

San Murialdo in una infuocata omelia esortava i torinesi a “non lasciare partire la fede dal nostro suolo. Non lasciamo che lo straniero ci rapisca il più prezioso dono dei nostri avi[…]”. Per tutta la vita Murialdo, “considerò sempre il pericolo protestante una minaccia diretta non solo contro la fede ma anche contro l’unità morale e spirituale della patria”.

Non solo il protestantesimo ma il Murialdo dovette impegnare la sua azione apostolica contro un nuovo e formidabile nemico, contro quella che egli chiama “la lega anticlericale e antidivina: la massoneria”. Sinteticamente san Murialdo pensa che “i frammassoni sono gli autori di tutti i mali temporali, religiosi e sociali che affliggono la nostra Italia”. Per il santo, la massoneria, è “la primogenita di satana”, essa è “criminale nella sua organizzazione segreta, immorale nei suoi principi, empia nella sua dottrina, irrazionale e perversa nella sua azione”. E’ una setta diabolica che “manovra Re, parlamenti e governi al servizio di Satana, seminando vittime al suo passaggio”.

Quelle di Murialdo, sono parole chiare e molto forti, che per la verità, padre Accornero, nel suo “Il Pioniere. Leonardo Murialdo tra i giovani e mondo operaio” (Paoline 1992), dà poco risalto, mentre Introvigne li utilizza ampiamente, sempre facendo riferimento ai volumi del Castellani. Infatti secondo lo storico, san Murialdo percepì il suo come un tempo di “gigantesca lotta fra il bene e il male”, e con ogni sforzo si studiò di suscitare “un’armata cristiana”, un “esercito di San Michele”, una “lega immensa di azione e di preghiera contro le società massoniche”. Sono termini che a qualcuno non possono piacere, ma i tempi erano quelli; i cattolici, che erano la maggioranza del Paese, si sentivano defraudati, accerchiati da una agguerrita èlite che li aveva emarginati dalla società civile.

San Murialdo conosceva bene la massoneria, l’ha studiata, raccogliendo notizie e documenti. Promosse e organizzò a Torino un congresso di universitari antimassonici e poi nel 1886, fondò una Lega Antimassonica, che si estese in tutta Italia, promuovendo, poi il Congresso Antimassonico Internazionale di Trento.

Per tutto questo, sia Murialdo che i suoi collaboratori subirono condanne, sequestri e processi penali. Il santo reagì con il consueto vigore: denunciando, organizzando, contrattaccando.

Nel 1880, affermava, “Una grave minaccia incombe sulla Chiesa, sulla società e sulla nostra patria, la più grave e pericolosa; l’assassinio delle anime dei giovani, perpetrato per mezzo della scuola laica, grazie a una legislazione anticlericale, settaria ed ipocrita, e da insegnamenti senza religione, armati di programmi, armati di programmi senza Dio”. Infatti, Murialdo ricordava ai genitori cattolici che “non era lecito inviare i figli alle scuole laiche, ‘senza Dio e senza morale’”. Addirittura Murialdo, di fronte alla scuola anticattolica di stampo liberale, era convinto che “dovere dei dei padri è educare i figli in casa o di ‘unirsi insieme vari padri di famiglia e scegliersi un maestro”. Pioniere anche nella scuola familiare, la homeschooling?

Queste iniziative dimostrano quanta importanza dava il santo torinese ad un’azione civica e sociale efficace e coraggiosa. “La lotta contro gli ‘Stati laici e laicizzatori’ era per lui ‘la crociata del XIX secolo’: Dio lo vuole! Dio è con noi!”.

Inoltre nell’ultimo periodo della sua vita Murialdo “indicò ai cattolici, non senza una profetica chiaroveggenza, il pericolo costituito dalla nuova forza sovversiva e anticristiana che si andava organizzando: il comunismo.

Per questo san Murialdo riproponeva, scrive Introvigne, “la necessità di un apostolato presso gli operai che, scristianizzati dalla propaganda liberal-massonica, divenivano poi facile preda dell’attivismo marxista”.

Un’altra battaglia a cui Murialdo, “sarebbe stato disposto a dare la vita”, fu quella per Roma e per il Papa. A questo proposito, scrive Introvigne: “San Leonardo, piemontese e nobile, visse certo in modo particolarmente drammatico, il cosiddetto ‘caso di coscienza del Risorgimento’, nel contrasto tra la fedeltà al suo re e quella alla Chiesa e al Pontefice. Tuttavia, secondo il professore Introvigne, “non corrispondono però al vero le affermazioni di qualche articolista moderno secondo le quali egli tenne un atteggiamento ‘ moderato’ e ‘conciliante’ a proposito della questione romana”. E questo mi sembra il pensiero di don Accornero.

Già nel 1861, di fronte a un pubblico di laici torinesi, il santo dichiarava senza equivoci che ‘il vero cattolico obbedisce e serve prima alle leggi di Dio e poi a quelle degli uomini’, e che “quando sono in causa i diritti della Chiesa, quando sono in gioco gli interessi delle anime, come nel presente tempo di lotta e di calamità e nella spinosa questione romana, questa fedeltà si dimostra con il sacrificio di tutte le vedute umane e personali, senza timore dei rischi […] con uno zelo fattivo nel difendere il Papa e la sua libertà”. Parole scritte per oggi? Possono valere per chi spera in una Chiesa progressista, ma anche per chi critica la Chiesa, dal fronte tradizionalista, meglio fondamentalista.

Pertanto per Murialdo, bisognava, difendere, “il potere temporale per obbedienza e per convinzione”. In conclusione, aggiungeva: “come non accorgersi che le società segrete, i rivoluzionari, i nuovi giacobini, i sovversivi, che dicono di volere compiere l’unità della patria, attaccano il Papa nel suo potere temporale per arrivare a colpire il suo potere spirituale, al fine di distruggere la Chiesa, il Cattolicesimo, il Papato?”. E’ evidente che san Murialdo,“Alle violenze rivoluzionarie egli rispose potenziando il carattere intransigente e romano delle proprie iniziative, e moltiplicando i pellegrinaggi a Roma di sacerdoti e soprattutto di laici piemontesi[…]”.

Comunque sia come si può evincere dalle lettere, discorsi e interventi, come documentano biografi e studiosi, il Murialdo si schiera sempre e comunque con il Papa, senza sbavature né tentennamenti, come capitò con la promulgazione del Sillabo di Pio IX.

Sulla “questione romana”, san Murialdo, ha le idee chiare Anche se il santo non si farà mai contagiare da “atteggiamenti fatalistici e dimissionari”. A questo proposito Accornero, reputa Murialdo un intransigente con spirito critico: certamente è papista, ma non “codino”. Anzi per certi versi può essere considerato un vero “progressista”, per tutte le opere che ha fatto. Penso al 1851, quando firmò, “un contratto di lavoro per apprendisti”, il primo in Italia. Pertanto per Accornero, “è un grave peccato di omissione storica ignorare volutamente gli immensi apporti del mondo cattolico nei campi della promozione e solidarietà umana, della carità cristiana e i contributi alla soluzione dei problemi più scottanti. Per il sacerdote giornalista, è“una carenza di memoria storica da imputare anzitutto al mondo cattolico”.

Lo ha evidenziato anche monsignor Franco Peradotto, in occasione della canonizzazione del Murialdo nel 1970. Dopo aver ricordato le sue opere e scelte della sua vita, ha detto“se un rammarico abbiamo in questi giorni in cui Torino tributa onori particolari al suo primo cittadino proclamato santo è che Murialdo sia troppo poco conosciuto per quel che disse e quel che fece aldilà della pure importante fondazione di una congregazione religiosa tanto benemerita”. Praticamente non possiamo liquidare l’opera di questo grande santo con il fatto che ha fondato la solita congregazione religiosa. Credo che lo studio del sociologo Massimo Introvigne, anche se datato, vada nella giusta direzione, di dare la giusta collocazione alla grande figura del santo torinese.

 

Quinto de Stampi MI, 18 gennaio 2017

S. Margherita d’Ungheria.                                                 Domenico Bonvegna

                                                                                              domenico_bonvegna@libero.it

 

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