SAN GIOVANNI PAOLO II. IL PAPA CHE HA CAMBIATO LA STORIA

IL MIO OMAGGIO A SAN GIOVANNI PAOLO II, IL PAPA CHE HA SEGNATO PARTE DELLA MIA VITA.

Un estratto del mio Libro su san Giovanni Paolo II…uscito alla fine di Ottobre…

 In occasione della canonizzazione del beato Giovanni Paolo II, intendo rendere omaggio al pontefice che ha segnato la parte più significativa della mia vita, a cominciare dal mio matrimonio, con uno studio sulla sua figura, presentando e commentando alcuni libri che ho nella mia biblioteca. Spero di riuscire a utilizzarli tutti, fornendo ai lettori una interessante miscellanea. Inizio con un libro su Giovanni Paolo II, davvero singolare, un piccolo prodigio come lo definisce Sergio Zavoli nella prefazione, il libro è curato da Saverio Gaeta“50 Parole per il nuovo millennio”, Oscar Mondadori. In poche pagine il testo riesce a contenere, quasi tutti gli argomenti su Karol Wojtyla: il dolore, la pace, la libertà, la giustizia, la persona umana e la famiglia, la fede e l’ateismo, l’economia e l’ambiente, la donna e i giovani.

Karol Wojtyla è nato il 18 maggio 1920 a Wadowice, in Polonia. A otto anni perse la madre e a venti restò orfano anche del padre. Il 1 novembre 1946 fu ordinato sacerdote e successivamente si laureò in filosofia e in teologia. Il 28 settembre 1958 venne consacrato vescovo, il 13 gennaio 1964 fu promosso arcivescovo di Cracovia e, tre anni dopo, diventò cardinale. Il 16 ottobre 1978 venne eletto Papa.
Giovanni Paolo II, ha scelto questo nome per esprimere amore e gratitudine nei confronti di Giovanni XXIII e Paolo VI. Tutti ricordiamo quella sera, quando Wojtyla, appare per la prima volta in piazza San Pietro: “Non so se posso bene spiegarmi nella vostra, nostra lingua italiana. Se mi sbaglio mi corrigerete…”. Primo papa non italiano dopo quattro secoli e mezzo. Pochi giorni dopo l’elezione, il 22 ottobre, nell’omelia della messa per l’inizio del pontificato, Giovanni Paolo II lanciò alla Chiesa e all’umanità intera un messaggio rimasto impresso nel cuore di tutti come vero e proprio programma: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l’uomo. Solo lui lo sa!”.

E’ veramente ricca la bibliografia su Giovanni Paolo II; nella mia biblioteca, tra biografie e saggi sul papa polacco, conto più di venticinque titoli. Forse i testi che si riescono a leggere meglio e che fanno sintesi sono quelli scritti dai giornalisti, come quello di Aldo Maria Valli, “Il mio Karol”, edito da Paoline (2008)
A cinquantotto anni, Karol Wojtyla era forte, atletico, sportivo, nuotava e sciava. Le cifre e le statistiche del suo pontificato sono da record. 104 viaggi all’estero, quasi centocinquanta visite pastorali fatte in Italia e 317 visite alle parrocchie romane, fortemente volute in quanto vescovo di Roma.

Il papa “deve avere una geografia universale. – disse a un giornalista – “Io vivo sempre in questa dimensione, nella preghiera del mattino, spostandomi idealmente lungo il globo. Ogni giorno c’è una geografia spirituale che percorro, la mia spiritualità è un po’ geografica”.
Il papa si sentiva come San Paolo, un papa viaggiatore perché, prima di tutto, missionario. Come si legge nella Redemptoris missio: “Già all’inizio del mio pontificato ho scelto di viaggiare fino agli estremi confini della terra per manifestare la sollecitudine missionaria, e proprio il contatto diretto con i popoli che ignorano Cristo mi ha ancora più convinto dell’urgenza di tale attività”.

L’ITALIA DI GIOVANNI PAOLO II.

Giovanni Paolo II dopo più di quattro secoli è il primo papa straniero chiamato ad assumere la responsabilità del governo della Chiesa universale e quindi della Chiesa italiana e di Roma in particolare. All’inizio del suo pontificato ha compiuto un gesto significativo, per dimostrarsi più unito al nostro paese, ha reso omaggio ai santi patroni d’Italia, Francesco d’Assisi e Caterina da Siena. “Il Papa vuole sentirsi italiano anche nelle forme di pietà legate al nostro paese, e perciò si reca subito al santuario mariano della Mentorella, nei pressi di Roma”( Antonio Scornajenghi, L’Italia di Giovani Paolo II, San Paolo, 2012)

Fin dall’inizio del suo pontificato, “stimola un cattolicesimo di popolo”, scrive Andrea Riccardi, recandosi frequentemente ai santuari. “Lui diceva che bisogna respirare l’aria dei santuari e dei santi per capire lo spirito di un popolo;aveva in mente ‘una carta geografica del mondo’”. Pregava spesso spostandosi mentalmente di santuario in santuario. “Davanti alla tomba di santa Caterina, il papa riafferma la volontà che l’Italia diventi la sua ‘seconda patria’. Egli desidera ‘far parte di essa in tutta la sua ricchezza storica”.

Il libro di Scornajenghi mi sembra originale perché si concentra sulle problematiche nazionali, utilizzando fonti inesplorate, in particolare, quelle orali e quelle archivistiche. Giovanni Paolo II da subito si fece un’idea sull’Italia, che si tradusse in un progetto, in una proposta che non fu immediatamente compresa e accettata, dentro e fuori della Chiesa. Di fronte a una certa stanchezza del cattolicesimo italiano, il papa polacco, invitò i vescovi e i laici a “partecipare attivamente alla ricostruzione del tessuto civile della nazione, fondato sui valori etici dell’umanesimo cristiano”

“Giovanni Paolo II è il Papa filosofo, poeta, drammaturgo, mistico, sportivo, ma è anche il Papa della grande devozione mariana che ha espresso spesso facendo il pellegrino. Forse nessun altro devoto della madonna, ha visitato tanti santuari mariani quanti ne ha visitati Papa Wojtyla”.

Ogni viaggio del Santo Padre diventa una sorta di visita pastorale, secondo il responsabile del servizio vaticano dell’”Osservatore Romano”, Gianfranco Grieco, si può parlare di un “pontificato dell’incontro”. In ogni viaggio il richiamo frequente è quasi sempre ai martiri, testimoni del messaggio cristiano, sull’esempio di questi cristiani, morti per la fede, il papa invita i fedeli ad imitare la loro vita. Altro richiamo frequente è quello di recuperare il patrimonio cristiano e la necessità di irradiarlo nel mondo intero.

.SAN GIOVANNI PAOLO II TESTIMONE DELLA SPERANZA.

Tra le tante biografie che sono state scritte su Giovanni Paolo II, senz’altro quella più importante è di George Weigel, “Testimone della speranza. La vita di Giovanni Paolo II, protagonista del secolo”, Mondadori (Milano 1999). Un’impressionante raccolta di informazioni e testimonianze che sviluppano quasi milletrecento pagine.

Nel prologo, il teologo cattolico americano, che ha studiato e scritto su Giovanni Paolo II per oltre vent’anni, offre una sintesi geniale ai lettori del libro. Dopo l’elezione del primo papa slavo in assoluto,“(…) il capo del KGB Juri Andropov mette in guardia il politburo sovietico sul pericolo che hanno di fronte, giudizio che troverà conferma quando, nel giugno del 1979, il papa polacco tornerà nella sua terra innescando la rivoluzione di coscienza che finirà per produrre il crollo non violento dell’impero sovietico nell’Europa centrorientale. Con pellegrinaggi pastorali in ogni angolo del globo, sfruttando con caparbietà ogni moderno mezzo di comunicazione, producendo un interminabile flusso di documenti dottrinali su quasi ogni aspetto della vita cattolica e sulle questioni cruciali per il pianeta”.

Una storia vera che Weigel presenta nel suo voluminoso libro.
Un pontificato tra i più importanti dei secoli per la Chiesa e del mondo. Il grande intellettuale russo Alexander Solgenicyn, ha definito il pontificato di papa Wojtyla, la cosa migliore che ha offerto il secolo XX. “Per alcuni è stato il Pontefice più significativo dopo la Riforma e la Controriforma del XVI secolo. Quell’epoca definì il rapporto della Chiesa cattolica con l’emergente mondo moderno; nello stesso modo il Concilio Vaticano II e il pontificato di Giovanni Paolo II hanno tracciato sentieri che, probabilmente, determineranno il corso del cattolicesimo mondiale oltre la ‘modernità’ e ben dentro il terzo millennio della storia cristiana”.

Per decine di milioni di uomini e donne, anche molti non cattolici, Wojtyla, “è una grande figura del nostro tempo: il difensore e la principale personificazione di una forza morale che ha condotto in salvo l’umanità attraverso il più sanguinoso dei secoli”. Pertanto Giovanni Paolo II rappresenta “il paladino, il campione della causa della libertà umana”


Capire Wojtyla “dal di dentro” significa anche pensare a lui in termini diversi dalle convenzionali categorie “destra/sinistra”, che hanno caratterizzato i resoconti del suo pontificato nei media di tutto il mondo. Queste sono categorie politiche risalenti alla Rivoluzione francese, che hanno dominato gran parte del pensiero moderno, per catalogare certi partiti politici o tendenze ideologiche. Ma “sono del tutto inadeguate a cogliere ‘dal di dentro’ Giovanni Paolo II uomo e Papa. Egli, infatti, sembra sfidare le regole di tale tassonomia occupando caselle diverse nella classificazione convenzionale”. Infatti spesso San Giovanni Paolo II dai giornali è stato definito “conservatore” in ambito dottrinale e “progressista” in ambito sociopolitico.

UN PONTIFICATO DIVERSO, GIOVANE, VIGOROSO, EVANGELICO.

“Una volta eletto papa, nel 1978, si è misurato con la crisi del cattolicesimo, con un Occidente secolarizzato e con un marxismo dai tanti volti. Tutti ricordano il suo primo messaggio, modellato sull’espressione evangelica: ‘Non abbiate paura!’” (A. Riccardi, Giovanni Paolo II. La biografia, San Paolo, 2010).

“Per più di dieci anni Giovanni Paolo II si è misurato con il comunismo, sino alla caduta del Muro. E’ stato un papa ‘vincitore’ nel confronto con l’impero sovietico a cui, negli anni settanta e ottanta, la maggior parte degli osservatori attribuiva una lunga vita. Quindi un papa politico? – si domanda Riccardi – Chi ha presente la dimensione spirituale, l’aspetto mistico e la preghiera di papa Wojtyla non può affermare il contrario: la fede è stato il cuore del pontificato incentrato essenzialmente nella comunicazione del messaggio del Vangelo su tutte le latitudini”.
Karol Wojtyla era convinto che il cristianesimo rappresentasse una “forza di liberazione dell’uomo e dei popoli”, poteva trasformare in qualche modo non solo le persone, ma anche la storia delle nazioni. “Questa è stata anche la vicenda della ‘liberazione’ della Polonia dal comunismo, in cui il papa ha giocato un ruolo di primo piano”. Per molti anni Wojtyla ha rappresentato per i cristiani e anche per quelli che non lo erano, la “forza di sperare”. Giovanni Paolo II, era convinto, che “tutto può cambiare. Dipende da ciascuno di noi. Ognuno può sviluppare in se stesso il proprio potenziale di fede”. Parole, valide anche per il nostro momento buio che stiamo vivendo, dove sembra che tutto è perduto.

Successivamente Giovanni Paolo II si dedicò alla grande causa dell’unità dei cristiani, alla costruzione della pace e della giustizia fra le nazioni, con particolare riferimento alla libertà religiosa. Un tema sempre attuale, viste le ultime dolorose notizie che provengono dalla Siria e dalla Nigeria, dove i cristiani subiscono un vero e proprio genocidio. Per Giovanni Paolo II, la vera e unica cartina di tornasole per una società giusta, è quella della libertà religiosa.

Belle le parole che il giovane papa polacco rivolge al primate di Polonia, cardinale Wyszynski, una settimana dopo la sua elezione: “(…) Non ci sarebbe sulla cattedra di Pietro questo Papa polacco, che oggi, pieno di timore di Dio, ma anche di fiducia, inizia un nuovo pontificato, se non ci fosse la tua fede che non ha indietreggiato dinanzi al carcere e alle sofferenze”. Wyszynski tentò anche questa volta di genuflettersi e di baciare l’anello al Santo Padre, e anche questa volta Giovanni Paolo II si chinò e lo strinse in un lungo abbraccio.

POLONIA, GIUGNO 1979: I NOVE GIORNI CHE CAMBIARONO IL MONDO.

“La Polonia non credeva ai propri occhi, quando Karol Wojtyla su un automezzo scoperto bianco-giallo attraversò le vie di Varsavia. Una pioggia di petali scendeva giù dalle case, e la gente era quasi traumatizzata dalla commozione, aveva solo voglia di piangere”, così Gian Franco Svidercoschi, conversando con Stanislao Dziwisz, nel libro, “Una vita con Karol”, (Rizzoli, 2007), inizia a descrivere la prima visita di Giovanni Paolo II nella sua Polonia.

Mentre l’aereo si avvicinava alla pista di atterraggio, il papa era teso, emozionato e parlava talmente piano che si faceva fatica a sentirlo, scrive monsignor Dziwisz.
Era il primo Papa che metteva piede in un Paese comunista, era il 2 giugno 1979, l’Europa e il mondo erano ancora spezzati in due, con un confronto tra le superpotenze, Usa e Urss, che si reggeva di fatto sull’equilibrio del terrore e sulla paura reciproca che scoppiasse un conflitto nucleare. Il Cremlino aveva fatto di tutto per impedire che Giovanni Paolo II tornasse in Polonia. “Quest’uomo porterà solo guai!”, aveva detto Breznev, effettivamente fu poi proprio così per il potere comunista. Intanto il regime polacco“ era terrorizzato dall’idea che la visita pontificia potesse coincidere con le celebrazioni del IX centenario del martirio di Stanislao” e così fu spostata la data della visita.

Il papa celebrò la prima Messa in piazza della Vittoria, dove il regime svolgeva le principali manifestazioni. La presenza di una marea di gente, fu un vero “terremoto”, un evento esplosivo; il cardinale Konig a commento della visita, disse: “il sistema apparentemente indistruttibile che per più di trent’anni aveva esercitato un dominio assoluto, imponendo il suo ‘credo’ ateisticoadesso doveva assistere, muto e impotente, al crollo simbolico della sua ideologia, del suo potere e, si potrebbe perfino dire, del suo ‘fascino’”.

Il 3 giugno, giorno della Pentecoste, il Papa polacco, faceva rivivere “…un’esperienza pentecostale, che coinvolgeva l’intero mondo slavo e la sua storia recente e metteva in discussione la divisione dell’Europa operata a Jalta”. Il 4 e 6 giugno si è recato a Jasna Gora, dove c’è il santuario della nazione alla Madonna Nera, qui era il luogo in cui si imparava davvero che cosa era la Polonia e che cosa erano i polacchi. Chiunque desideri “sapere come interpreta la storia il cuore dei polacchi… deve venire qui”.

Ricordando il martirio di san Stanislao, papa Wojtyla, imponeva ai polacchi di pensare a se stessi, ma in un contesto europeo, non certo in quello espresso dalla “Cortina di ferro”. Nonostante le diverse tradizioni esistenti nei vari territori europei, “vi è in esse lo stesso cristianesimo”, che ha origine dallo stesso Cristo, è proprio qui che stanno le radici della storia d’Europa. Per papa Wojtyla, “L’unione dell’episcopato polacco, da oltre un millennio al servizio della nazione e della sua unità, doveva ora essere posta al servizio di una responsabilità ancora più grande: “il cristianesimo deve ‘nuovamente impegnarsi nella formazione dell’unità spirituale dell’Europa. Le sole ragioni economiche e politiche non sono in grado di farlo. Dobbiamo scendere più in fondo: alle radici etiche”.

Il papa ricordava ai comunisti che stanno depredando la Polonia, la quale è esistita prima di loro.

In pratica il Santo Padre a Jasna Gora, aveva posto se stesso e la Chiesa contro la divisione dell’Europa effettuata a Jalta nel 1945. Tuttavia,“col passare dei giorni, il viaggio diviene profondamente rivoluzionario – scrive Vircondelet – Giovanni Paolo II attraversa il paese seminando libertà; in un certo modo, la Polonia viene nuovamente battezzata o cresimata nella sua fede”.

Pertanto quest’uomo “minacciava alle fondamenta l’intero edificio comunista, proprio perché ricorreva ad armi nei cui confronti il comunismo era molto vulnerabile”. Ecco perché due anni dopo cercarono di liquidarlo il 13 maggio in piazza S. Pietro a Roma.
A Cracovia si conclude il suo pellegrinaggio davanti a forse tre milioni di fedeli, più di quanti se ne fossero mai riuniti in tutta la storia polacca. Rivolgendosi al suo popolo, disse: “Dovete essere forti, carissimi fratelli e sorelle! Dovete essere forti della forza della fede…”. George Weigel, conclude il capitolo dedicato al viaggio in Polonia con la frase: “Una lezione di dignità”, riferendosi al popolo polacco, in pratica, “tredici milioni di polacchi, più di un terzo della popolazione del paese, avevano visto il Papa da vicino (…) In nove giorni la Polonia aveva vissuto ‘un terremoto psicologico, una catarsi politica di massa’(…)Giovanni Paolo II aveva detto le cose che i polacchi sapevano da decenni, ma che non potevano esprimere in pubblico”. Lo ha detto in polacco bello e nobile, non nella lingua imbalsamata della Polonia comunista.

 

“QUANTE DIVISIONI HA IL PAPA?”

Il viaggio del Papa in Polonia ha cambiato tutti gli assetti geopolitici non solo in Polonia ma dell’intera Europa dell’est.

Per quanto riguarda il paese polacco, prima era chiaro chi fossero “loro”, i piccoli burocrati di partito, i picchiatori dell’SB, non era chiaro chi fossero i “noi”.

L’esperienza del pellegrinaggio papale aveva fornito a dieci milioni di polacchi la risposta: “’Noi’ siamo la società , il paese è nostro; loro sono soltanto un’incrostazione (…)” Karol Wojtyla ha ridato dignità individuale e autorità ai suoi conterranei. “Giovanni Paolo II aveva vinto una grande battaglia, – scrive George Weigel nel suo voluminoso “Testimone della speranza”- aveva segnato un punto di non ritorno”.

Si era diffusa la percezione che “il fondamento di qualsiasi sfida dei ‘noi’ contro ‘loro’ doveva essere il rinnovamento morale”. Il popolo polacco intanto ha dato una grande “lezione di dignità”, mentre il governo polacco, tirò un sospiro di sollievo quando finalmente Giovanni Paolo II se ne andò, ma “i buoi come aveva detto in un’altra occasione il Papa, erano già usciti dalla stalla”.
In pratica Giovanni Paolo II in quei nove giorni di pellegrinaggio ha gettato le basi per la rivoluzione sociale e politica della Polonia. Dopo 448 giorni era scoppiata la rivoluzione dello spirito. “Nei cantieri navali Lenin di Danzica un ex elettricista disoccupato, Lech Walesa, firmò un accordo con una grossa stilografica che aveva sul cappuccio l’immagine sorridente del Papa, un souvenir del pellegrinaggio del 1979. Con quel documento il governo comunista polacco riconosceva la legalità del primo sindacato indipendente e autonomo del mondo comunista: si chiamava Solidarnocs ossia ‘Solidarietà’”.

Da questo momento la Chiesa è in prima linea nella difesa dei diritti umani. In quel discorso il papa metteva in discussione anche il pacifismo convenzionale. “Vi si affermava che la pace non dipendeva soltanto dalla riduzione degli armamenti, pur auspicabile, né da comportamenti individuali pacifici e caritatevoli. La pace – secondo Wojtyla- era piuttosto il risultato di un impegno morale a rispettare la libertà dell’uomo, creando strutture politiche giuste, sia nazionali che internazionali”.

Si giunge al fatidico 13 maggio 1981, quando alle ore 17,07 in piazza S. Pietro il killer turco Ali Agca spara al pontefice. Ancora oggi non si ha, secondo Marco Invernizzi, che ha scritto recentemente un pamphlet su San Giovanni Paolo II, consapevolezza dell’estrema gravità dell’attentato al Papa. Certamente è stato un gesto che non era mai successo in tutta la storia della Chiesa.
La prima considerazione che si è fatta è che il grave attentato si compie il giorno dell’anniversario dell’apparizione della Madonna a Fatima ai tre pastorelli portoghesi, il 13 maggio 1917. “Come non prestare attenzione e fede a quei segni tangibili della presenza di Dio?” Wojtyla appena riprese conoscenza, il suo pensiero si rivolse al santuario di Fatima e viene a conoscenza del testo esatto del “Terzo segreto” di Fatima. “Era stata una mano materna a guidare la traiettoria della pallottola”. Dopo questo attentato, “nulla sarà come prima”.

 

IL PAPA CHE SCONFISSE IL TOTALITARISMO COMUNISTA CON LA FORZA DELLA VERITA’.

Nei giorni della canonizzazione di Karol Wojtyla, Giovanni Paolo II, per onorare in qualche modo la sua poliedrica figura, non ho trovato di meglio che leggermi, una serie di libri, che avevo nella mia biblioteca, e poi di proporne il contenuto ai vari blog, siti internet dove collaboro da anni.

Studiando ho scoperto che il papa polacco, senza ombra di dubbio, può essere considerato il più grande uomo, un gigante del XX° secolo. Attenzione, non solo per le sue qualità e capacità religiose, in quanto pontefice e capo della Chiesa Cattolica, ma anche per le sue straordinarie attitudini politiche, sociologiche, psicologiche, filosofiche e storiche.

Tra l’altro leggendo i vari volumi, che ora ho pubblicato in un’opera collattanea nel mio blog personale, ho notato che la figura di Giovanni Paolo II ancora non è conosciuta o studiata abbastanza a cominciare dai cattolici. Prendiamo per esempio la sua visione socio-politica, quella che riguarda la dottrina sociale della Chiesa, quegli aspetti che lo hanno visto protagonista nelle battaglie sociali, culturali e politiche, prima da vescovo e poi da papa, nei confronti del totalitarismo socialcomunista in Polonia e poi in tutto l’Est europeo.

Il giornalista francese Bernard Lecomte, scrive «La verità prevarrà sempre sulla menzogna. Come papa Giovanni Paolo II ha sconfitto il comunismo», pubblicato da Mursia nel 1992. Questa pubblicazione, ormai non più riedita, potrebbe essere un’ottima sintesi di come i popoli dell’est hanno riacquistato la libertà attraverso una rivoluzione silenziosa, guidata, per certi versi, dal papa slavo. «La sua elezione al soglio pontificio nell’ottobre del 1978 ha sconvolto la Ostpolitik del Vaticano e riportato la speranza a milioni di cattolici polacchi, cechi, ungheresi e ucraini. “Non temete, la Verità vincerà!” ha continuato a ripetere loro».

Lecomte fa un’ottima sintesi dei vari passaggi della lotta, della resistenza pacifica di questo grande papa e per certi versi di tanti suoi figli spirituali, in particolare i polacchi. Al testo di Lecomte ho accennato nella serata di Rodì Milici del 31 luglio scorso quando ho presentato l’ottimo libro di Rod Dreher, «L’opzione Benedetto». Dreher ai cristiani suggerisce di riesaminare l’azione sociopolitica dei dissidenti cecoslovacchi durante la repressione comunista. Quell’esperienza dei dissidenti oggi può esserci utile.

C’è un filo rosso che accomuna i dissidenti dell’est, in particolare i polacchi e i cechi.

Lecomte indica in questa resistenza al sistema comunista il collante religioso, in particolare, quello cattolico, infatti, proprio nelle terre cattoliche i comunisti hanno subito una disfatta. Anche se per la verità, tra i dissidenti si trovano tante personalità non cattoliche e lontane dalle chiese. Infatti, dopo l’elezione di Karol Wojtyla, «si osserva un fenomeno degno di nota: è essenzialmente nelle file degli uomini di fede in generale, senza distinzione confessionale, che appaiono i nuovi affossatori del totalitarismo, futuri eroi moderni dell’Europa liberata. Uomini e donne che non fanno mistero delle loro idee; che anzi manifestano apertamente, con rischio personale, le loro convinzioni religiose».

Questi oppositori hanno capito che di fronte a un regime dove l’ideologia domina la politica, non serve difendere una religione, una parrocchia in particolare. Ciò che ha senso, «è la difesa dell’uomo tutto intero: della dignità dell’uomo, dei suoi diritti, della sua identità». Infatti, può osservare Doina Cornea, dissidente romena, «non è la mia adesione a una determinata opinione che mi ha valso la persecuzione da parte del potere, ma la mia adesione all’idea di verità in generale». Tra l’altro Lecomte scrive a proposito del sacerdote, martire Jerzy Popieluszko, assassinato dal regime comunista polacco, «se si fosse accontentato di difendere i diritti della Chiesa cattolica, non sarebbe stato assassinato».

Lecomte sottolinea come tanti “eroi”, combattenti, dissidenti, che hanno combattuto contro il totalitarismo comunista sono diventati credenti tardi. A questo proposito fa l’esempio di Aleksandr Solzenicyn, Vaclav Havel, in Polonia, Bronislav Geremek e Adam Michnik, ma poi si potrebbero fare tanti altri nomi.

Di fronte alla grande rivoluzione polacca, sembrano profetiche le parole di Nikita Kruscev: «tutto questo non sarebbe accaduto se si fossero fucilati in tempo un paio di scrittori». Sono tre gli uomini che hanno contribuito alla trasformazione della Polonia: Stefan Wyszynski, primate di Polonia, personificazione della resistenza al comunismo; Jerzy Turowicz, esponente di un piccolo gruppo di intellettuali cattolici indipendenti, raccolti sotto la sigla “Znak”; e Adam Michnik, geniale militante della “sinistra laica”, di cui promosse il collegamento con la Chiesa.

«Senza questi tre uomini, senza ciò che essi rappresentano, Karol Wojtyla non sarebbe diventato papa. E l’Europa dell’Est, senza dubbio, sarebbe ancora comunista».

Il 2 giugno 1979 avvenne il grande evento, la Polonia si riveste di fiori multicolori, «a Varsavia le sole macchie grigie, lungo il percorso del papa, sono gli edifici del partito e del governo». Giovanni Paolo II, in piazza della Vittoria, divenuto uno spazio di libertà, calcando ogni parola, afferma: «Oggi, in questa piazza della Vittoria, nella capitale della Polonia, io domando insieme a voi tutti che Cristo non cessi di essere un libro sempre aperto sull’uomo, sulla sua dignità, sui suoi diritti! Un libro aperto sulla vita, per il domani, per il nostro avvenire, polacchi!».

La ruota della Storia si muove. Di giorno in giorno le folle aumentano, in particolare a Gniezno , culla del cristianesimo polacco e poi a Czestochowa, capitale del culto mariano, dove ricorda che la sola autorità cui devono obbedire i polacchi si chiama Maria vergine. E’ la festa più bella della storia polacca.

 

Il regista Andrzej Wajda, nei suo film, mostra come le precedenti sollevazioni polacche erano fallite per mancanza di solidarietà, tra le varie categorie sociali. Ora era evidente il cambiamento, quando per esempio, arrivano ai Cantieri Lenin in sciopero, il 22 agosto 1980, Tadeusz Mazowiecki e Bronislaw Geremek, esponenti autorevoli dell’intellighenzia di Varsavia e poi tutti gli altri, perlopiù cattolici, sconosciuti a Walesa e subito “assunti” come esperti. Attraverso questo nuovo legame tra intellettuali, sacerdoti, operai, studenti, si crea una controsocietà, quella vera, non quella ideata dal potere comunista.

Un altro concetto presente nella strategia del pontefice polacco, ben sviluppato nel libro è quello della “Storia nel cuore” di ogni cosa. «La Storia è il secondo pilastro del discorso di Giovanni Paolo II. Non è il culto gratuito del passato, che ha solo un limitato interesse: bensì la conoscenza e la coscienza di quel passato che costituisce un insieme organico di cultura, tradizioni, lingua, e fonda semplicemente l’identità dell’uomo».

I tre viaggi del papa in Polonia sono ricchi di lezioni di storia. In ogni occasione Giovanni Paolo II cerca sempre di risuscitare la memoria collettiva. E proprio sul ricordo, sottolinea Lecomte, nacque il sindacato libero di Solidarnosc. Quando Walesa andò a deporre i fiori sugli operai trucidati a Danzica dalla polizia comunista. «Senza il ricordo di quelle vittime che il potere voleva cancellare definitivamente dalla memoria nazionale, il sindacato Solidarnocs non sarebbe mai nato».

Non è un caso che i principali animatori dell’opposizione polacca siano degli storici che tra l’altro operavano nelle cosiddette “università volanti”.

L’EUROPA DI SAN GIOVANNI PAOLO II.

 L’insistenza di Karol Wojtyla per un’Europa unita, è molto forte, al punto che Andrea Riccardi nella sua biografia, che ho citato più volte, percepisce il papa polacco come un vero “primate” d’Europa, un titolo mai attribuito ufficialmente al papa, ma di fatto da lui svolto come guida effettiva del cattolicesimo europeo con una visione continentale”.

Nei suoi numerosi interventi, “quasi mille”, che ha dedicato all’Europa, il papa ha sempre ribadito che “per rinnovare la società, bisogna far rivivere in essa la forza del messaggio di Cristo”. E’ il “sogno di Compostela”, espresso nel grande santuario spagnolo, meta tradizionale di pellegrinaggi che attraversavano l’Europa nel Medioevo. Nel 1982, il papa, rivolge un accorato appello agli europei: “Grido con amore a te, antica Europa: ritrova te stessa. Sii te stessa. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici. Torna a vivere i valori autentici che hanno reso gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza sugli altri continenti. Ricostruisci la tua unità spirituale, in un clima di pieno rispetto per le altre religioni e le genuine libertà…Non deprimerti per la perdita quantitativa della tua grandezza nel mondo o per le crisi sociali e culturali che ti percorrono. Tu puoi essere ancora faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo. Gli altri continenti guardano a te”.
Il Papa però non si illude, sa che l’Europa ha tanti problemi, sa che il cristianesimo europeo è in crisi, ma sa pure che il cristianesimo è un elemento decisivo nel configurare l’unità dell’Europa e la sua missione nel mondo.
Fin dal 1979 Wojtyla da Papa, nella cattedrale di Gniezno, dove giacciono le spoglie di sant’Adalberto, evangelizzatore della Cechia e della Polonia, aveva detto solennemente, facendo eco ai temi del romanticismo polacco: “Non vuole forse Cristo, non dispone lo Spirito Santo, che questo papa polacco, papa slavo, proprio ora manifesti l’unità spirituale dell’Europa cristiana?”.

Nel testo “Memoria e Identità” (Rizzoli, 2005) il papa ritorna sulla collocazione della Polonia con la nuova Europa. Wojtyla critica la tesi del “ritorno in Europa”; per lui la Polonia, nonostante la separazione forzata ad opera del comunismo, era sempre stata vicina e ha sempre contribuito alla formazione dell’Europa. Il Papa espone mirabilmente con estrema sintesi la storia polacca. Fin dal battesimo nell’anno 1000, al Congresso di Gniezno, i primi sovrani della Polonia si impegnarono a costituire uno Stato, diventando baluardo contro le varie pressioni esterne. “Noi polacchi – afferma il papa – abbiamo, dunque, preso parte alla formazione dell’Europa: abbiamo contribuito allo sviluppo della storia del continente, difendendolo anche con le armi. Basti ricordare, per esempio, la battaglia di Legnica (1241), quando la Polonia fermò l’invasione dei Mongoli in Europa. E che dire poi di tutta la questione dell’Ordine Teutonico (…) Poi il Papa ricorda quando Giovanni III Sobieski, nel XVII secolo, salvò l’Europa contro il pericolo ottomano nella battaglia di Vienna (1683)“

“SE SARETE QUELLO CHE DOVETE ESSERE METTERETE FUOCO IN TUTTO IL MONDO”.

E’ l’espressione di Santa Caterina da Siena, che Giovanni Paolo II utilizza rivolgendosi ai giovani della Giornata Mondiale della Gioventù di Tor Vergata a Roma, nel 2000 in occasione del Giubileo.

“Voi siete la mia speranza” aveva detto il Papa all’inizio del suo pontificato. E questa non era una frase ad effetto, scrive Svidercoschi, nel libro con monsignor Dziwisz ( Una vita con Karol, 2007).Wojtyla fin dai primi anni di sacerdozio, aveva imparato a stare con i giovani, a capire i loro problemi, le loro contraddizioni, il perché dei loro interrogativi sulla religione e la Chiesa, la loro ansia di cambiare la società.

L’idea di dar vita a una giornata mondiale dedicata soltanto ai giovani è nata dopo un incontro con i giovani americani al Madison Square Garden di New York, nell’ottobre del 1979, “Quanto accade quella sera – scrive Bernard Lecomte – convincerà il seguito del papa che il suo pontificato, almeno su questo piano, non assomiglierà agli altri. Entrato nello stadio a bordo di una Ford Bronco appositamente allestita, Giovanni Paolo II effettua in un frastuono indescrivibile il giro di quel luogo abituato ad accogliere le più grandi stelle del mondo dello spettacolo.

I media plaudono alla manifestazione, il “Time” spara il titolo; “John Paul II Superstar”. I giovani comprendono che quell’uomo li ama davvero e parla loro con il cuore, lontano da calcoli politici e dalla demagogia. Costruirsi una vita che abbia un senso. E’ il succo del messaggio ai giovani, che continua a ripetere in ognuno dei viaggi in tutto il mondo. “Più vado avanti con l’età, più i giovani mi esortano a restare giovane”, spiega il papa a Vittorio Messori.
Monsignor Renato Boccardo, organizzatore delle Giornate Mondiali della Gioventù a partire dal 1992, insieme al giornalista Renzo Agasso, ha raccolto i suoi ricordi in un libro, “Il ‘Mio’ Giovanni Paolo II, (Paoline, 2013).

In occasione della IV Giornata Mondiale della Gioventù, sul Monte Gozo a Santiago de Compostela, nel 1989, in Spagna, attorno al santuario, il papa dice, “se voi tacete, grideranno le pietre!”. E proprio “lì a Santiago, che si trovano le radici stesse dell’Europa cristiana, perché lì ogni pietra parla della potenza della fede di intere generazioni di pellegrini(…)” A Santiago mezzo milione di giovani testimoniano che il pellegrinaggio non è una pratica religiosa sorpassata ma è un mezzo per riscoprire Cristo nella nostra vita.

E qui il Papa esorta i giovani a “intraprendere una nuova evangelizzazione”, “e voi non potete mancare a questo importante appello. In questo luogo dedicato a san Giacomo, il primo degli apostoli che diede testimonianza della fede attraverso il martirio(…)” . Giovanni Paolo II invita i giovani a decidersi in modo definitivo a trovare la direzione del proprio “cammino”.
La decima Giornata Mondiale della Gioventù a Manila è stata quella del raduno più numeroso: forse sono stati cinque milioni al “Luneta Park”, il più grande incontro in tutta la storia dell’umanità. In un clima di intensa preghiera e riflessione profonda, “il Papa aiuta i giovani a capire il miracolo della Pentecoste nei suoi tre aspetti: santità, comunione e missione. Proprio questi tre aspetti sono ciò di cui la Chiesa ha bisogno oggi: la testimonianza dei santi, l’unità dei credenti e il dinamismo dei missionari”.

INTRODUZIONE AL MAGISTERO DI SAN GIOVANNI PAOLO II.

In oltre un quarto di secolo abbiamo visto operare Giovanni Paolo II, un grande pontefice venuto da lontano, che si è imposto all’attenzione di tutti, ben oltre i confini della Chiesa. “Nessuna personalità di livello mondiale è rimasta nel cuore della gente come il Papa polacco. Nessuno ha inciso più di lui, non solo sulla vita della Chiesa, ma anche su quella della società”. Così si esprime padre Livio Fanzaga, nella prefazione al libro di Marco Invernizzi, San Giovanni Paolo II. Un’introduzione al suo Magistero, Sugarcoedizioni (2014 Milano).

Un libro nato soprattutto ai microfoni di Radio Maria da cui settimanalmente, dal 1989 alla morte di papa Wojtyla nel 2005, Invernizzi ha intrattenuto gli ascoltatori presentando loro le encicliche, le esortazioni apostoliche e i principali discorsi del Papa venuto dall’Est. Il testo della Sugarcoedizioni è un ottimo sussidio per coloro che vogliono accostarsi al Magistero di San Giovanni Paolo II. “Attraverso Radio Maria, Marco Invernizzi ha potuto presentare sistematicamente i passi di questo straordinario pontificato, – scrive padre Liviocommentandone gli insegnamenti nel dialogo con gli ascoltatori, sforzandosi di cogliere la portata storica – per il mondo e per la Chiesa – di una presenza eccezionale e collocandola nel misterioso disegno di Dio, che cammina con noi fino alla fine del mondo”.
Molto si è scritto sulla personalità poliedrica del pontefice polacco, sulla grandezza umana di Papa Wojtyla, tuttavia, durante il mio lungo itinerario di studio dei numerosi libri sulla sua figura, più volte ho pensato che la sua vita straordinaria poteva e potesse offrire molti contributi a tutti gli uomini e donne che intendono spendersi nell‘attività sociopolitica per il bene comune del proprio Paese .

Questi intellettuali sono affetti dal pensiero ideologico moderno che “divide” la storia in un “prima” (il passato) assolutamente negativo,- è la Chiesa prima del Vaticano II- e un “dopo” certamente positivo, sempre necessariamente migliore del passato. Scrive Invernizzi a proposito di questi intellettuali critici di papa Wojtyla: “Sono frange di intellettuali con molte possibilità di scrivere sui media e d’insegnare nelle università, ma che hanno perduto il contatto con la gente reale, quella che frequenta i santuari, le parrocchie, i movimenti e le associazioni, che riescono a penetrare nella vita sociale suscitando significative conversioni. E’ la gente – per esempio – che ascolta Radio Maria e vuole bene al Papa anche se non ha studiato teologia”. Pertanto secondo Invernizzi, “uno dei risultati più significativi del pontificato di Giovanni Paolo II consiste proprio nella perdita d’influenza e soprattutto di audience da parte di questa schiera di intellettuali progressisti”.

L’ATTEGGIAMENTO MISSIONARIO DEL PONTIFICATO DI SAN GIOVANNI PAOLO II.

In una intervista del 2005 Papa Benedetto XVI, faceva notare che l’insegnamento di Giovanni Paolo II “rappresenta un patrimonio ricchissimo che non è ancora sufficientemente assimilato nella Chiesa”. E soprattutto i suoi documenti, rappresentano “un tesoro ricchissimo” per interpretare il Concilio Ecumenico Vaticano II.

Nella sua prima enciclica, la “Redemptor hominis”, il Papa venuto dall’Est, fa memoria di come il Concilio abbia insegnato a rivolgersi agli uomini contemporanei attraverso il “dialogo”. Naturalmente, la Chiesa deve dialogare con gli uomini che vivono in questo mondo, con certe caratteristiche, che vanno conosciute perché il dialogo possa essere efficace. In questa enciclica secondo Marco Invernizzi, autore dell’agile pamphlet, “San Giovanni Paolo II. Un’introduzione al suo Magistero” Sugarcoedizioni (Milano 2014) si cominciano a definire le caratteristiche del pontificato di Giovanni Paolo II, che sono quelle dello spirito missionario. Il Papa aveva le idee chiare a questo proposito, si richiamava all’esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi” di Paolo VI, che nel 1975 si sforzò di far penetrare nella Chiesa un profondo senso dell’apostolato missionario. “L’atteggiamento missionario – scrive Giovanni paolo II – inizia sempre con un sentimento di profonda stima di fronte a ciò che ‘c’è in ogni uomo’ (Gv 2,2).

L’importanza della centralità del sacramento dell’Eucarestia, che si lega necessariamente a quello della riconciliazione, che deve prevedere la confessione sacramentale personale, come raccomanda l’insegnamento costante del Magistero. Qui il Papa fa riferimento al tema della libertà, un tema che sarà centrale nel suo pontificato. Numerosi sono i suoi interventi sulla libertà religiosa e sul disprezzo dei principi fondamentali del diritto naturale. A questo proposito scrive Giovanni Paolo II: “Ai nostri tempi, si ritiene talvolta, erroneamente, che la libertà sia fine a se stessa, che ogni uomo sia libero quando ne usa come vuole, che a questo sia necessario tendere nella vita degli individui e delle società. La libertà, invece, è un grande dono soltanto quando sappiamo consapevolmente usarla per tutto ciò che è il vero bene. Cristo c’insegna che il miglior uso della libertà è la carità, che si realizza nel dono e nel servizio” (n.21)
KAROL WOJTYLA DOPO L’ATTENTATO ENTRA NEL “MISTERO DI FATIMA”.

Il testo di Marco Invernizzi, Reggente nazionale di Alleanza Cattolica, punta l’attenzione su l’attentato del 13 maggio 1981 a Giovanni Paolo II: “l’ingresso nel mistero di Fatima” e quindi evidenziare il Magistero Mariano del Papa Santo.

Intanto per Invernizzi, nonostante le diverse opere pubblicate sull’attentato, “non c’è stata un’attenzione mediatica proporzionata all’enormità dell’episodio e all’ancora più sconcertante epilogo: il Papa ferito gravemente ma non ucciso, rimasto in vita per portare a termine la sua sfida ai regimi totalitari e fare uscire la Polonia dal patto di Varsavia e per continuare a guidare la Chiesa dentro al terzo millennio sulla strada della nuova evangelizzazione”. Karol Wojtyla lo ha spiegato esplicitamente, in particolare durante il pellegrinaggio a Fatima nel maggio del 1982, dove andrà per ringraziare e per esternare il suo “ingresso” nel mistero di Fatima.
Invernizzi insiste sulla disattenzione dei media al grave attentato: “sconcerta(…) l’assenza di una letteratura adeguata sull’episodio, anche dopo molti anni dalla caduta del Muro, nonostante le diverse inchieste giudiziarie, dalle quali peraltro è nata un’opera ricca di interesse storico e che aiuta a fornire un’interpretazione di quei fatti abbastanza conforme alla verità, scritta da Ferdinando Imposimato”. Al di là delle inchieste giudiziarie, è evidente che il Papa, fu salvato da una mano materna, “la Chiesa non era stata decapitata – scrive Invernizzi – ma i cattolici e le autorità ecclesiastiche che la guidavano in quei giorni erano frastornati, preoccupati, incerti”. Siamo nel clima di “guerra fredda”, in Italia, c’era stata la consultazione referendaria che il 17 maggio boccerà la richiesta abrogativa della legge 194, che legalizzava l’aborto.

“Il senso comune della popolazione – scrive Invernizzi – attribuiva la responsabilità dell’attentato all’URSS, senza dubbio alcuno. Fin dall’elezione al soglio di Pietro era apparso chiaramente che il papa venuto dall’Est avrebbe contribuito ad erodere il consenso e il prestigio del comunismo e dei regimi del socialismo reale”. Peraltro il viaggio in Polonia del Santo Padre aveva messo in moto un meccanismo di rivolta che neanche la brutale violenza del colpo di Stato del generale Jaruzelski, avrebbe potuto fermare dentro e fuori i confini polacchi.

Si tratta dell’attentato più eclatante del XX secolo per giunta fatto ad un Papa. Ancora oggi ci sono tanti elementi di suspense che lo rendono un interrogativo inquietante e affascinante per lo storico e per il credente. E’ del tutto evidente che esiste un legame fra l’attentato al papa, avvenuto proprio il 13 maggio e il mistero delle apparizioni di Fatima dove, nel 1917, dal 13 maggio al 13 ottobre, la Madonna apparve per sei volte a tre giovanissimi pastori.

Wojtyla verrà introdotto in questo mistero tanto che al suo risveglio in ospedale leggerà quella terza parte del segreto che non era stata ancora rivelata. Da quel momento Fatima diventa una componente centrale del pontificato di Giovanni Paolo II.
Non sto qui a descrivere il significato delle apparizioni di Fatima e del messaggio costituito in tre parti. Gli uomini con i loro sacrifici e preghiere possono realmente incidere nella storia, come dimostra il fatto che il Papa non è stato ucciso, come sarebbe dovuto accadere secondo la terza parte del messaggio. Per Marco Invernizzi, “proprio all’importanza e alla drammaticità della storia si rivolge il messaggio di Fatima, mettendo in luce la libertà delle creature e la possibilità di influire sugli stessi avvenimenti storici”. E’ un richiamo rivolto alla responsabilità degli uomini e spesso non incontra il favore neanche dei cattolici.

 

IL MAGISTERO SULLA FAMIGLIA E SULLA DONNA DI PAPA WOJTYLA.

La lettura e lo studio del Magistero di san Giovanni Paolo II è molto utile per risolvere i tanti problemi della nostra società disperata, ha una straordinaria attualità, merita maggiore attenzione ed essere presentato e richiamato almeno nel mondo cattolico, anche perché nonostante la grande visibilità che ha avuto il pontefice polacco, sono pochi quelli che hanno avuto l’opportunità di leggere i suoi documenti.
Dunque insisto e continuo il mio studio sul grande e impegnativo Magistero wojtyliano. Il tema della Famiglia è prioritario per Papa Wojtyla.

Nel 1981 pubblica l’esortazione apostolica post-sinodale “Familiaris consortio”. Il documento manifesta un approccio non solo giuridico, morale o politico al tema del matrimonio e della famiglia, ma soprattutto teologico. Al Papa preme mettere in risalto in modo particolare il ruolo e il compito dei coniugi cristiani. “Gli sposi – scrive Invernizzi – vennero così investiti di una grande responsabilità ma anche di un compito entusiasmante: sposarsi doveva diventare ciò che era originariamente nel piano divino, una vocazione, una chiamata a testimoniare l’azione di dio attraverso l’amore umano e così costruire una società migliore”.

Quindi continua Invernizzi, “Il processo di scristianizzazione continuò ad avanzare e a colpire la famiglia; soprattutto come ha fatto notare lo statistico Roberto Volpi, togliendo dal cuore dei giovani il matrimonio come un ideale da realizzare e la famiglia come un bene da costruire”. Nell’esortazione apostolica San Giovanni Paolo II ai coniugi indicò una meta e un compito, quello di “incarnare nella vita quotidiana quelle parole male usate o abusate nel gergo corrente: amore, fedeltà, comunione, solidarietà, tutte espressioni che evocano quasi sempre qualcosa di ambiguo, addirittura equivoco”.

Altri due documenti meritano di essere ricordati: “La Carta dei diritti della famiglia” (1983) e la “Lettera alle famiglie” (1994). Il Papa è convinto che la famiglia è il fondamento della civiltà, “la civiltà dell’amore”, oggi aggredita da un pensiero e da una cultura della morte. “Infatti se esiste da un lato la ‘civiltà dell’amore’, permane dall’altro lato la possibilità di un’’anti-civiltà’ distruttiva, com’è confermato oggi da tante tendenze e situazioni di fatto”. Wojtyla ribadisce che questa anti-civiltà, nasce dalla crisi della nostra epoca, una “crisi di verità”, cioè una “crisi di concetti”, dove i termini più utilizzati nel lessico corrente, come amore, libertà, dono sincero, persona, sono stati stravolti”. A questo proposito il papa raccomanda la sua enciclica sulla verità, “Veritatis splendor”.

In questo fondamentale documento il Pontefice analizza il razionalismo moderno, cominciato con Renè Descartes, che allontanandosi progressivamente dall’insegnamento cristiano su Dio, introduce il dualismo fra lo spirito e il corpo, favorendo ad affermarsi la tendenza “a trattare il corpo umano non secondo le categorie della sua somiglianza con Dio, ma secondo quelle della sua somiglianza con tutti gli altri corpi presenti in natura, corpi che l’uomo utilizza quale materiale per la sua attività finalizzata alla produzione di beni di consumo”. Tutti possono comprendere che tale ragionamento può sconfinare in enormi pericoli. Quando il corpo umano viene considerato come materiale, alla stregua degli animali, come succede per la manipolazione degli embrioni o dei feti, “si va incontro inevitabilmente ad una terribile sconfitta etica”.
Collegato al tema della famiglia San Giovanni Paolo II ha scritto le pagine più belle della Chiesa sulla dignità e la missione della donna oggi. In particolare nella Lettera apostolica “Mulieris dignitatem” (15 agosto 1988) tutta dedicata alla donna.

 

Rozzano MI, 24 giugno 2014
Natività di S. Giovanni Battista                                      DOMENICO BONVEGNA
                                                                                                        domenico_bonvegna@libero.it

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