QUANDO IL SISTEMA MEDIATICO UCCIDE L’INTELLIGENZA.

IL PERICOLO DELLA COLONIZZAZIONE DELL’ANIMA, CAUSATA DALL’INFORMAZIONE DEFORMANTE…

“in nessuno periodo della storia, il cittadino è stato sprovvisto di potere reale quanto nella democrazia moderna”, scrive Marcel De Corte.

Abbiamo più volte notato come certo giornalismo, ma anche tanto intellettualismo deforma i fatti, la realtà. Spesso da quello che scrivono si deduce che vivono in un loro mondo immaginario, lontani dalle cose reali. Molti lo hanno scritto a proposito del voto della Brexit in Gran Bretagna, per le elezioni americane, ma anche per il referendum sulla riforma costituzionale in Italia, del 5 dicembre scorso. In tutti questi casi, la lettura della stragrande maggioranza dei media e degli intellettuali era completamente lontana dalla realtà, o perlomeno si era tentato di deformarla.

Peraltro qualcosa di simile avviene nel presentare i discorsi di Papa Francesco, facendolo apparire quello che non è.

In questi giorni su questo argomento ho letto un bellissimo libro, oserei dire profetico, perchè pubblicato più di quarant’anni fa. Si tratta di “L’intelligenza in pericolo di morte”, scritto da un filosofo cattolico belga, professore universitario, Marcel De Corte.

Del saggio di De Corte ci interessa soprattutto il terzo capitolo, “L’informazione deformante”, nonostante l’età, mi sembra ancora oggi attuale. Qui il professore descrive egregiamente il lavoro degli intellettuali che attraverso i mass media, i giornali, la televisione, ora potremmo aggiungere la rete internet, deformano e smantellano la realtà sociale. L’intelligenza era in pericolo di morte quarantasette anni fa, quando De Corte ha scritto il saggio, a maggior ragione è in pericolo oggi. Del libro ho letto l’edizione pubblicata nel 1973, dal mitico editore Giovanni Volpe, presentata e tradotta dal francese da Orsola Nemi. Recentemente il saggio è stato pubblicato soltanto da Effedieffe, valorosa casa editrice che però è di nicchia e quindi difficilmente raggiungerà i grandi canali di diffusione letteraria.

Oggi l’uomo è condizionato dai mass media, che sono“strumenti condizionatori”. “Disavvezzo a pensare col proprio cervello, – scrive la Nemi – egli preferisce pigramente la illusione alla realtà, quindi non è più capace di conoscere Dio, da cui ogni realtà deriva”. Pertanto, l’uomo di oggi, è “colpito, esautorato nella intelligenza, che è la sede di ogni libertà, è esposto ai pericoli di qualsiasi propaganda, vi è tanto abituato che non vede come le parole che gli vengono quotidianamente imbandite non coincidono con la realtà in cui si muove”.

Per De Corte, “l’intelligenza si è invertita. Invece di conformarsi al reale, ha voluto che il reale si conformasse alle sue ingiunzioni”. Così l’uomo immagina una società costruita da lui, che non ha più riferimenti con i principi immutabili, acquisiti per sempre dall’umanità. Così attraverso l’informazione, l’uomo diventa “padrone del suo destino collettivo: può, a suo piacimento farsi sul piano sociale, ridotto e identificato con l’economico, nell’attesa di farsi individualmente secondo la volontà propria,liberata dalle servitù della materia da una informazione esauriente”.

L’uomo con l’informazione diventa capace “di essere il suo proprio demiurgo, il fabbricatore di se medesimo, l’homo faber di se stesso”.

Il testo di de Corte è una serrata critica della società di massa e del sistema democratico moderno scaduto ormai in demagogia. Il professore francese fa leva sugli studi di Augustin Cochin, il genio francese che ha ben studiato l’azione deformante e la distruzione dell’intelligenza durante il giacobinismo della Rivoluzione Francese. Intanto si precisa che la democrazia odierna,“non ha nessuna comune misura con la democrazia del passato, con la democrazia ateniese per esempio, o con le democrazie comunali del Medio Evo, più di quanto l’abbia con la democrazia legittima descritta da Pio XII, seguendo i grandi filosofi politici del passato, o con la democrazia elvetica di oggi”.

Tuttavia per De Corte il cittadino non si comporta allo stesso modo nei due sistemi, anche se hanno lo stesso nome. Le antiche democrazie erano a misura d’uomo, qui il cittadino conosce direttamente e per esperienza i problemi che deve risolvere. Non accade allo stesso modo nelle democrazie moderne, dove “le questioni poste al cittadino sono talmente ampie e complesse che egli non può conoscerne i dati attraverso la sola fonte autentica di conoscenza: l’esperienza”.

Secondo De Corte, il cittadino dei regimi democratici moderni, assomiglia molto a un “re merovingio di cui bisogna cercare altrove il maggiordomo”. Pertanto questo cittadino, “è obbligato a ricorrere all’immagine che se ne foggia nell’interno del suo pensiero e a proiettarla nella pasta molle e amorfa di ciò che si chiama società per darle una forma”.

Ma essendo molto limitata la capacità immaginativa del cittadino si appella agli “informatori, che gli offrono modelli prefabbricati”, cioè ai giornalisti, agli intellettuali. Così il cittadino immerso nell’immaginario, per esprimere la sua volontà politica, “entra nell’‘isolatore’ (la cabina elettorale). In pratica “è chiamato a trasformare il mentale nel sociale, immaginario nella realtà, il logico in ontologico”.

De Corte insiste nella dura critica della democrazia moderna. Per lui, “non esiste. Esistono nel nudo scenario delle democrazie, le minoranze dirigenti che conquistano lo Stato Vacante, ne occupano i posti di comando, sia direttamente, sia per interposta persona. Tali minoranze, che detengono le leve dello Stato democratico, non possono agire se non FACENDO COME SE LA DEMOCRAZIA ESISTESSE, sinceramente o o, consapevoli o no”.

Per il filosofo francese questa minoranza illuminata detiene il vero potere, che “non possono governare i cittadini se non ingannandoli e persuadendoli di detenere loro tutti i poteri, mentre sono privati del potere fondamentale di decisione e direzione che determina tutti gli altri e che possiedono solo verbalmente”.

Secondo De Corte, “in nessuno periodo della storia, il cittadino è stato sprovvisto di potere reale quanto nella democrazia moderna”. Augustin Cochin l’ha ammirabilmente dimostrato nei suoi studi per tutte quelle, società o gruppi “della Repubblica delle Lettere, Accademie, Logge”; tutte hanno lo stesso carattere: “sono egualitarie nella forma, e i loro membri fraternamente riuniti, figurano liberi, spogli di ogni aggancio, da ogni obbligo, da ogni funzione sociale effettiva”.

Praticamente i membri per entrare in queste società si liberano di tutte le caratteristiche che hanno nelle loro comunità naturali: famiglia, mestiere, parrocchia, villaggio, regione. Qui in pratica non hanno “nè interessi diretti, né responsabilità impegnata nelle cose di cui parlano”. Queste associazioni hanno il solo scopo di esprimere opinioni, attraverso discussioni e voti. “Amputati da ogni effettiva relazione con le realtà sociali della vita quotidiana, costoro non possono che imporre in anticipo e senza appello, anzitutto a se stessi, e poi al pubblico che addottrinano, il punto di vista della intelligenza soggettiva, irreale[…]”. Pertanto, “in quelle città del pensiero, tutto si dice, tutto s’immagina lontano dagli esseri e dalle cose, fuori dell’esperienza, dalla tradizione, dal realismo del senso comune che impone all’intelligenza il mondo degli oggetti[…]”.

De Corte, facendo parlare sempre Cochin, afferma che in quel mondo della Rivoluzione francese, in quella “Città del pensiero”, all’essere reale e personale dell’uomo si sostituisce un essere sociale e fittizio. Così non siamo più nel mondo vero, “ma in un universo di parole, in un traffico di discorsi, di scritti”, ridicolo per un mondo reale. Anche De Corte non si meraviglia che la maggior parte dei cosiddetti ”intellettuali” siano di “sinistra”, ci si domanda perchè mai “i grandi centri d’informazione: agenzie di stampa, giornali, attualità cinematografica, radio, televisione, università, centri di ricerche, eccetera, siano imbottiti di rivoluzionari, di proseliti della sovversione o di ‘simpatici’ liberali, che si prestano sorridendo a fare la parte di furieri del nihilismo”. Sarebbe sorprendente il contrario. Certo esistono le eccezioni, tuttavia questi centri sono popolati di gente che non accetta la condizione umana, sono lontanissimi quanto più possibile dalla vita quotidiana degli uomini e“sono quasi tutti amputati dal rapporto fondamentale con la realtà e con il principio della realtà”.

Secondo De Corte, “la cerchia della informazione è lontanissima dalle cerchie naturali, dove si svolge la vita vera degli uomini, dove nulla accade di ‘nuovo’, se non l’incessante rinnovarsi della vita[…]”. De Corte è lapidario, a questo proposito, “è paradossale che le intelligenze amputate debbano essere dal ‘sistema’ chiamate a guidare le normali intelligenze”.

Tuttavia a questa morte delle intelligenze non si è arrivati in poco tempo, è da due secoli che si lavora per rendere le menti sradicate dalla realtà e ridurle alla pura soggettività. Ci sono mille esempi di questa operazione di sradicamento ad opera di “filosofi” che hanno minato le fondamenta dell’antico regime con la loro critica e con la informazione deformante di fatti reali. Gli informatori democratici, gli intellettuali, giornalisti, sono in stretto rapporto con le masse che informano. Praticamente lavorano su “raggruppamenti artificiali, inorganici, omogenei, ridotti ad amalgama docile e plasmabile, dispongono di un’autentica macchina capace, se maneggiata secondo le regole, di colpire le menti e farle pensare o agire come loro decidono”.

Sostanzialmente secondo De Corte è la stessa legge che resse le società di pensiero, di due secoli fa. Questa legge,“ impose uno o due macchinisti per manovrare ‘la macchina’ e vuole che la democrazia moderna abbia continuamente a capo informatori che martellano l’opinione amorfa e le permettano di esprimersi”.

 

MASS MEDIA, SOCIETA’ DI MASSA E DEMOCRAZIA MODERNA.

Nel testo che sto studiando il filosofo belga Marcel De Corte, descrive il dramma della crisi della civiltà contemporanea, della civiltà occidentale. Si potrebbe definire una diagnosi clinica, dove si tocca il male profondo che ha colpito l’intelligenza umana e la minaccia di morte.

De Corte riesce a fare una coraggiosa sintesi dei vari passaggi, sotto la spinta delle “rivoluzioni” del XVIII secolo, che hanno portato l’uomo contemporaneo al disastro antropologico odierno. Principalmente De Corte si rivolge “a quel mostro affascinante che è l’utopia, che si presenta oggi sotto molti travestimenti, uno più nocivo dell’altro, dal romanticismo della scienza alla informazione deformante”.

Più volte il filosofo belga sostiene la tesi che il regime democratico nato dalla Rivoluzione francese, presuppone “l’allontanamento, o almeno, la sterilizzazione politica delle società naturali o seminaturali, in cui l’uomo si trova iscritto dal destino sin dalla nascita o dalla vocazione: famiglia, comunità professionale, comunità locale e regionale, patria piccola o grande eccetera”. Certo sussistono ancora queste realtà, ma in maniera precaria, basta osservare, la famiglia, la società naturale per eccellenza.

De Corte, è severamente critico della democrazia moderna: “è essenzialmente il regime sprovvisto di ossatura e di muscolatura, dove lo Stato regna solitario per mezzo di un apparato artificiale le cui metastasi cancerose proliferano dentro le coscienze, e culmina, senza essere il risultato di una forza naturale sociale”. Praticamente la democrazia è costituita da uno Stato senza società, da una collettività composta da individui anonimi eguali, intercambiabili e che fra loro non hanno nulla da scambiare e da comunicare.

Questa democrazia forma una società di massa, dove gli individui sono sradicati dalle strutture sociali viventi, “dove si addizionano gli uni agli altri in una comunità di somiglianza. Avviene il contrario nelle società organiche, qui “i membri sono PRESENTI gli uni agli altri e partecipano, su piani diversi, a una medesima esperienza sensibile, intellettuale e morale degli esseri e delle cose che costituisce il fondamento solido e incrollabile delle loro certezze e della loro capacità di scambievole comunicazione[…]”.

Nella società di massa, l’individuo entra in rapporto con gli altri attraverso l’informazione. Si conoscono gli avvenimenti attraverso l’informazione, “per mezzo di informatori che registrano, radunano, scelgono, configurano, esprimono e diffondono i fatti, al posto loro”. In pratica nella democrazia, l’informazione ha una importanza fondamentale, entrambi vanno di pari passo. L’informazione dà “una parvenza di vita, essendo percettibile, udibile e visibile”. Diventa addirittura un bisogno, non si può fare “a meno delle ‘notizie’; la lettura dei giornali è la preghiera mattutina dell’uomo moderno, diceva Hegel, e Montherlant evoca, non so dove, la faccia del passeggero nella metropolitana tuffata al crepuscolo nell’ultima edizione del suo quotidiano abituale, simile al muso del cavallo affondato nella profenda”.

De Corte descrive mirabilmente l’individuo della società di massa, che tagliato dal suo passato dalle tradizioni, dalle certezze oggettive, dalle evidenze della società naturale, ora vive isolato, immerso nella collettività, di cui ignora quasi tutto. Praticamente cerca nella informazione, “un rimedio contro l’individualismo e contro la società di massa di cui lentamente muore”.

De Corte nel libro tratta anche di una manipolazione delle diverse forme del linguaggio in particolare quello letterario o artistico, indirizzando così l’umanità verso una Babele. Oggi emergono per il professore belga “gli scaltri, i senza scrupoli, laici o chierici che governano gli altri con le parole. Si eliminano gli uni gli altri con tecniche che vanno dalla semplice frecciata, scritta o detta, sino alla rivolverata alla nuca”. E qui De Corte scrive che c’è una profonda riflessione da fare sulla storia degli ultimi due secoli:“la maggior parte dei dittatori e dei tiranni moderni sono scrittori o artisti che hanno sostituito al vano linguaggio dei segni estetici, un sistema di segni che diffonde il terrore e sostiene la prepotenza di chi lo usa: da Bonaparte a Hitler, da Mussolini a Stalin, passando per tanti altri che hanno avuto una temporanea fortuna, o sono falliti nel loro tentativo[…]”.

A questo proposito diceva Napoleone: “ho attuato l’alleanza della filosofia con la sciabola”. Oggi i suoi emuli, direbbero di “aver attuato l’alleanza del linguaggio col lavaggio dei cervelli.

Il professore De Corte chiude il cerchio: “società di massa, società legata da informazioni, società fondata sulle parole, sulle immagini, su riproduzioni e simulacri, si costruiscono, se così possiamo dire, automaticamente, si fondono in una specie di holding collettivo, gigantesco, di cui i ‘furbi’ detengono la direzione generale”.

A questo punto il professore porta l’esempio di come certa intellighenzia ha mistificata la realtà della guerra contro il Comunismo nel Vietnam. Si sono associate slogan come “la sporca guerra del Vietnam”, con immagini di terrore convenientemente scelte, alla fine si finisce col non vedere più la realtà e si fa di tutto per liberarsi a qualsiasi costo della guerra. Pertanto “la sola rappresentazione mentale degli Stati Uniti suscita un riflesso di animosità non tanto per la loro condotta nei confronti di un popolo che vuole ‘liberarsi’, ma per il loro comportamento nei confronti del soggetto in cui è suscitato il riflesso, colpito nel suo inconscio e modellato dalla in-formazione”. Identico meccanismo per tutte le guerre più o meno giuste degli americani. Qualcosa di simile sta accadendo oggi con il presidente degli Usa Donald Trump. Anche qui l’informazione diventa deformante. Infatti è in corso una mega-operazione di disinformazione sull’amministrazione Trump che vede impiegati i migliori professionisti del giornalismo americano.

Il De Corte insiste sulle tecniche che usa l’informatore per informare l’in-formato. L’informazione “diviene una macchina per agire sopra un gran numero di uomini e in-formarli in serie […]le tecniche della informazione presuppongono la capacità di devitalizzare l’essere umano e degradarlo alla condizione di materia plastica”. Ma l’informazione è inseparabile dalla propaganda, spesso l’obiettività dei mass media passa in secondo piano. I mass media in mano a gruppi particolari o allo Stato, comunicano, all’”uomo medio” della società di massa, che non ha la capacità, né la possibilità di verificare le informazioni che riceve o di criticarle. Sostanzialmente per De Corte, “è l”uomo massa’ che affronta, nelle notizie donde trapelano, problemi che per l’ampiezza, il numero e il significato lo superano infinitamente. Aggredito da informazioni di cui non può calcolare l’importanza né tantomeno stabilire la gerarchia della loro portata e del loro valore, informato è completamente alla mercè dell’informatore”.

L’informatore ha la tentazione irresistibile di imporre la propria visione su tutto. Del resto l’uomo della società di massa, “desidera che l’informazione gli comunichi direttive di pensiero e d’azione, una ortodossia e una ortoprassia”. Peraltro l’informatore sa di avere davanti un essere debole, estremamente mistificabile, anche perchè l’uomo della società di massa è incapace di agire e di capire se stesso. L’informatore così accresce definitivamente la sua volontà di potenza e plasma e deforma a suo piacimento tutti gli in-formati. L’informato, individuo isolato nella società di massa, partecipa, “quasi chiamato , per opera della informazione che lo deforma, al consolidamento della società di massa e della democrazia, alla socializzazione, alla meccanizzazione della sua condotta a opera del potere, e col suo proprio consenso”.

De Corte spiega chiaramente la tecnica di come un “piccolo numero di agenzie di stampa”, a livello internazionale e nazionale a mettersi al servizio degli Stati e dei suoi governi, senza venire mai in conflitto con loro.“Non v’è nemmeno un solo esempio di governo che, informando il pubblico della sua opera, non presenti l’informazione nella luce più favorevole o meno sfavorevole per lui”. In pratica quello che è successo con i tre governi del dopo Berlusconi in Italia.

De Corte sostiene che a partire dal 1914, la guerra psicologica delle informazioni deformate e deformanti non si è mai interrotta, dal momento in cui gli Stati si sono accorti dell’importanza vitale che avevano per loro. Il filosofo fiammingo è categorico,“in una società democratica di massa, il governo che si limitasse a informare il cittadino senza piegarlo, senza influire su di lui, né formarlo e deformarlo, sarebbe rapidamente spazzato via, anche e soprattutto nella Russia sovietica, nella Cina comunista e nei paesi situati nella loro orbita”.

I regimi democratici devono sempre ingannare l’opinione e persuaderla che la segue, mentre invece la guida. Un capo socialista poteva dire: “sono il loro capo, dunque li seguo”. Tuttavia, però, “il governo non può isolarsi dalla massa, ma può tendere fra sé e la massa una cortina impalpabile dove la massa vedrà proiettarsi un’apparenza di politica, mentre la politica vera si svolgerà dietro”. Allora, De Corte può scrivere che, “tutta l’arte di governare, si riduce in fin dei conti a cogliere l’avvenimento che permetterà al governo di ingannare l’opinione pubblica a suo favore”. Per fare questo “il prezzo da pagare è la deformazione permanente dell’informazione, la menzogna che si insinua nell’avvenimento e lo traveste”.

E’ semplice governare nella società di massa, sia per la democrazia formale, reale o comunista, basta far proclamare dalla massa quel che si è decretato di fare. La formula è sempre la stessa: “Il popolo lo vuole”, ripetuto più volte, acquista una valenza magica. L’informazione che governa, in mano ai pochi, ogni tanto danno qualche oggetto reale, ma rivestito di ideologia e di immaginazione, così c’è l’illusione di governare. Infatti per De Corte sia “le elezioni a 99,95% a favore del partito unico sono autentiche quanto quelle che si svolgono nelle democrazie liberali. Nei due casi, tutto è deciso dal popolo, vale a dire, da alcuni, in apparenza democratica che la informazione fornisce la dose di realtà indispensabile ad accendere nello spirito la immaginazione mitica”.

Allora una informazione penetrata di propaganda, può INVERTIRE il senso di qualsiasi fatto. Addirittura all’uomo si può far accettare anche la sua schiavitù. Nella democrazia e nella società di massa, appare “impossibile discernere l’informazione dalla propaganda, l’avvenimento dall’influsso di cui viene caricato, la verità dalla menzogna, il reale dall’immaginario, il dato dal costruito”.

A questo punto De Corte procede a descrivere come si snatura l’avvenimento.

Lo studio del professore fiammingo Marcel De Corte, ha molto a che fare con quello che sta succedendo all’amministrazione Trump, per certi aspetti è illuminante. Narra molto bene le operazioni di mistificazione ideologica dei vari informatori sociali (giornalisti, intellettuali…) abili a snaturare gli avvenimenti, sia quarant’anni fa, che oggi.

Infatti De Corte descrive, “Come si snatura l’avvenimento?” Sempre allo stesso modo e col medesimo procedimento: “si sostituisce alla presenza del reale, una rappresentazione immaginaria, fabbricatrice di ‘un mondo nuovo’ e di ‘un uomo nuovo’ e – occorre ripeterlo – fabulatrice nella sua essenza”. Può avvenire questo perchè,“la nostra mente è talmente ingombra di immagini mentali, verbali o audiovisive, che l’informazione, di cui si subisce il continuo bombardamento psichico, è riuscita a introdurvi, che la nostra intelligenza non esercita più la sua funzione essenziale: distinguere, criticare, giudicare, se non a intermittenze e quasi per caso”.

Pertanto l’informazione prende il posto della verità. E in una società di massa trionfa l’opinione, che non è mai quella reale. Allora si informa e si comunica continuamente, si ripetono in continuazione notizie: “quel che devesi fare è legare gli uomini fra loro, imprimendo nella loro immaginazione una stessa rappresentazione degli avvenimenti. Tale operazione deve essere continuamente fatta e rifatta, con forza di stampaggio crescente; perciò si è passati dal giornale all’immagine audiovisiva della televisione, dove la concorrenza sempre più viva tende a eliminare lo scritto, rendendo a un tempo il telespettatore più passivo del suo antenato, lettore di quotidiani”.

Tuttavia la televisione, diventa l’”utensile più idoneo ”per disinformare e per volgarizzare lo spettatore. Le immagini a ritmo vertiginoso mettono l’uniforme all’occhio. Per De Corte, “La televisione è la macchina perfetta per fabbricare le rappresentazioni che la massa senza cultura assorbe unanime: si impone così a ciascuno, la stessa immagine, la stessa uniforme[…]”.

Nel saggio del professore fiammingo si fanno diversi esempi di deformazione della informazione. Se una persona dà noia, viene eliminato. La pratica del “taglio” è diffusa in tutti i giornali, alla televisione è la regola. Diceva Chesterton, “non occorre più lottare contro la censura sulla stampa, abbiamo una censura della stampa”.

De Corte fa un elenco di alcuni archetipi,“stampi imbutiformi”, che vengono utilizzati dai vari gazzettieri di turno, come popolo, razza, proletariato, lavoro, resistenza, collaborazione, fascismo, libertà, colonialismo, eccetera” Questa parole, non sono creazioni spontanee dell’uomo democratico, “sono stati fabbricati, provati, scelti per la loro efficacia, e capacità di modellare le menti, dai formatori, dagli informatori e deformatori dell’opinione pubblica (e da coloro da cui dipendono) che occupano dal XVIII secolo in poi i posti di comando nei Mass Media e fabbricano la Mass Culture”.

Fatta così l’informazione diventa sovversiva. Basta dare un’occhiata ai giornali, sui vari avvenimenti, “per una specie di impulso automatico o di scivolamento su un pendio irreversibile, l’informazione tende alla dismisura distruttrice”. De Corte, con chiarezza, scrive:“Si legge e si vede ogni giorno che gli assassini del Vietcong sono liberatori del loro popolo, che i popoli del Terzo Mondo partoriscono nel dolore e nel sangue…”.E via di questo passo.

L’agitatore e l’informatore riesce a manipolare soprattutto gli adolescenti, la fase più difficile e delicata dell’uomo. Infatti, per De Corte,“tutta l’arte della informazione teleguidata consiste nel chiudere l’essere umano nella sua crisi di pubertà fino alla morte e nel drogarlo con le chimere”. Ancora più chiaramente:“il cittadino delle democrazie moderne – scrive il professore fiammingo – è particolarmente esposto al rischio della reclusione definitiva: separato dalle sue comunità naturali, tenta invano di inserirsi in una ‘società nuova’ che si edificherà sempre nel futuro”. Pertanto De Corte, può scrivere che “la democrazia è una crisi di pubertà politica perpetua.

I vari agitatori, professionisti della disinformazione non fanno altro che incitare in continuazione l’io di questi eterni adolescenti a una lotta immaginaria sempre contro gli altri:“la causa dei vostri mali viene dagli altri. Sono gli altri che vi fanno soffrire. Tutti quelli che non sono voi. Opponetevi a loro. Lottate contro di loro. Eliminateli dalla vita politica e sociale, perfino dalla vita. Così, liberati dai vostri mali, costituirete coi vostri simili una società ormai pacifica, una collettività senza falle, una comunità esente da ogni tribolazione e da ogni infermità”.

Praticamente questi uomini amputati dalle loro comunità naturali, ora si rendono conto della propria solitudine, e così sono incitati a rigettarne la causa su coloro i quali si opporranno. A questo male immaginario, c’è però un rimedio immaginario. Si edifica una collettività artificiale, in una uniformità del collettivo. Praticamente, “L’unità nella diversità cede il posto all’identità nella separazione, che è la parte dei regimi democratici”. Si giunge così, a un solo concetto, il più vuoto, il “più asociale che esista”.

A questo punto gli informatori e i loro macchinisti, “hanno raggiunto il loro scopo: hanno creato il loro oggetto, hanno fabbricato di sana pianta una comunità immaginaria, popolata di cittadini immaginari, coi quali si confondono gli individui reali, intossicati dall’informazione. Nulla più semplice che guidare questi pseudo-cittadini in istato di sonnambulismo”. I giovani in “contestazione permanente”, rivendicano una “mutazione permanente”. Pertanto per De Corte non è esagerato dire, che oggi “il mondo intero è nella condizione adolescente”.

Così possiamo scrivere che oggi stiamo“assistendo, a una seconda colonizzazione, quella dell’anima, a una seconda industrializzazione, quella della mente, effettuate dai venditori di informazione, di conoscenze, di nuova educazione, da mercanti di mercanzie politico-sociali, dai manifatturieri della cultura, dai sofisti dell’apparenza, vicino ai quali Protagora e Gorgia non sono che ragazzini”.

Oggi l’informazione deformante lavora le menti di tutti e visto il progresso della tecnica, penetra dappertutto, grazie all’”educazione”; bisognerebbe avere “una salute intellettuale e morale” per difendersi e uscirne indenni. Dalla deformazione, sono stati conquistati soprattutto le élites intellettuali, diventando loro stesse, gli agenti di propaganda. Tutto crolla sotto la spinta della informazione deformante. Intanto la radio e la televisione ne hanno accelerato il processo di decomposizione delle civiltà tradizionali.

Victor Hugo, il papa della democrazia e della religione di massa, “credeva ingenuamente che bastasse aprire una scuola, per chiudere una prigione”. E a proposito di scuola, osservava Fichte a suo tempo, che “la maggior parte di quelli che imparano a leggere, non leggono libri, ma quel che i giornali dicono dei libri”. Tuttavia, “tale lettura narcotica finisce col far perdere loro volontà, intelligenza, pensiero e capacità di imparare”.

De Corte mette in guardia anche dalla mera lettura. “La lettura infatti ha senso soltanto se il lettore è in precedenza fornito di giudizio e capace, nella misura stessa nella quale è legato organicamente al reale, di discernere il vero dal falso e la realtà dalla illusione”. Ma i Mass Media of Communication non si rivolgono a questo tipo di uomo, si rivolgono a quegli uomini che sono disposti a credere “tutto ciò che è scritto, tutto quanto gli si dice o gli si fa vedere”. Tutto è accettato come Vangelo. L’uomo moderno,“non avendo più effettivo contatto con gli esseri e con le cose, egli non sa più, è costretto a credere. I pontefici di questa “religione nuova”, di questa “società nuova”, che allora avevano il comune denominatore nel socialismo, oggi diremmo nel RELATIVISMO, sono Marx, Lenin, Stalin, Mao. Oggi i riferimenti sono altri.

Lo studioso belga, conclude il capitolo, quasi prefigurando la società odierna, siamo entrati in“una nuova civiltà”, scrive, che sarà diversa da tutte le altre che l’hanno preceduta. Questa civiltà, “[…]sarà distinta dalla ‘libertà senza precedenti dell’uomo riguardo alle costrizioni fisiche, economiche, biologiche; scomparsa quasi totale del lavoro manuale; tempo libero superiore al tempo di lavoro, abolizione delle distanze[…]”.

De Corte non si stanca di evidenziare le caratteristiche della società di massa che è essenzialmente una civiltà dell’immagine. “L’informazione si impernia su rappresentazioni immaginarie[…]viene tessuto quindi un vero schermo di irrealtà fra l’intelligenza e l’essere: l’uomo contemporaneo non percepisce né concepisce più il mondo dell’esperienza quotidiana, ma il mondo della illusione”. Tuttavia insiste De Corte,“la fabbrica delle illusioni che deformano la nostra percezione e la nostra concezione del reale è una delle industrie più fiorenti del pianeta[…]”.

Nella civiltà contemporanea si pongono le immagini al posto della realtà, le rappresentazioni al posto della presenza di esseri e di cose. Interessante il dialogo di due donne, l’una nel vedere il bambino dell’altra, esclama: “Dio! Che splendido bambino hai!”. E la madre risponde: “Oh! Non è nulla! Dovresti vedere la fotografia”.

E’ evidente che ormai “la differenza tra menzogna e verità sfuma e l’uomo della strada ha tendenza a preferire il pseudo avvenimento all’avvenimento autentico, perchè il primo risponde meglio alla soggettività dei suoi desideri o alle sue avversioni”. Scrive De Corte, “Oggi, si fabbricano con facilità sconcertante falsi avvenimenti, reputazioni, celebrità, tutto un universo politico e sociale APPARENTE”. Praticamente, “non parliamo più delle cose, ma delle loro immagini imposte dalla pubblicità, dalle propagande che si innestano sulla informazione”.

Ormai siamo abituati “a vivere e pensare come se l’immaginario fosse reale e l’informazione esperienza”. Ciò che ci minaccia non è la lotta di classe, la tirannia, l’anarchia, ma la PERDITA DEL SENSO DEL REALE. Il mondo dell’informazione è il mondo di Narciso, qui l’uomo incontra soltanto la sua immagine. La tecnica della in-formazione è diabolica,il mondo immaginario lo fa diventare, il solo mondo reale.

Ormai si vive, tanto l’informatore che l’informato, come “Alice nel Paese delle Meraviglie”.

 

Quinto de Stampi MI, 21 febbraio 2017

Festa di San Pier Damiani                                                   Domenico Bonvegna

                                                                                                     domenico_bonvegna@libero.it

 

 

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