I DUE FESTIVAL DEL QUIRINALE E DI SANREMO.

Il sabato pomeriggio, prima dell’elezione del presidente della Repubblica un deputato afferma: “Sbrighiamoci a votare Mattarella, martedì comincia Sanremo e due festival insieme gli italiani non li possono reggere”. Una frase molto vera e significativa. “Solo che non sono due – scrive Max del Papa – è una sola infinita rappresentazione: parte dalla Scala (ovazione al presidente), continua a Montecitorio, approda all’Ariston”. (M. Del Papa, Doppia morale nella repressione sanitaria: a Sanremo nessun obbligo di vaccino e teatro pieno”, 3.2.22, atlanticoquotidiano.it).

E a proposito di ovazioni, ha destato tanta ilarità la clac dei parlamentari (non ho capito quelli di FdI) ricordano gli applausi al mega presidente di Fantozzi. Qualche altro li ha paragonati al discorso di Petrolini: “Bravo! Grazie!”. I Parlamentari che dicono “grazie a noi la Repubblica è salva”, oppure “il Parlamento si è preso la dignità”, è una grande bolla di ipocrisia. Salvatore Merlo, su Il Foglio, ha potuto scrivere che ogni capello bianco di Mattarella rappresenta per i parlamentari un codice IBAM. In pratica i parlamentari hanno eletto Mattarella soltanto perché era la loro unica garanzia per poter finire la legislatura. L’esito delle elezioni quirinalizie ci ha consegnato l’immagine di un Paese immobile, ingabbiato, piegato su se stesso e sulla necessità di preservare lo status quo. Un quadro politico desolante, dove ognuno guarda al proprio “particulare”.

Non a caso il ministro Speranza, ha salutato la rielezione di Mattarella con un trionfalistico tweet. Si tratta ormai di uno spettacolo di corte che, serve da potente arma di distrazione di massa con cui si stende un’ulteriore patina di conformismo su una popolazione ormai rassegnata e arresa all’ineluttabile. Perciò, non serve nemmeno più far finta di cambiare o muovere qualche pedina lasciando inalterati gli equilibri di potere.  Tutto deve restare così com’è perché è il modo migliore per blindare i posti di comando. Nulla cambia perché nulla deve cambiare. Pensandoci bene, più che al Gattopardo siamo arrivati alla definitiva restaurazione di una sorta di ancien regime”. (Gianluca Spera, Dopo il Quirinale e Sanremo, un Paese immobile, rassegnato e triste, 7.2.22, atlanticoquotidiano.it)

Ritornando a Sanremo per qualcuno si tratta di una specie di Festival dell’Unità, o del Primo Maggio. “Un miscuglio musicale, in salsa liberal e radical, che raccoglie nostalgici comunisti, inginocchiati a pugno chiuso, cantanti che sfregiano il Battesimo, quasi come fossero David Bowie, e fiumi di retorica su neri, trans, omosessuali”. (Matteo Milanesi, Sanremo, il festival diventato come il concertone del Primo Maggio, 6.2.22, atlanticoquotidiano.it)

La trasgressione di Achille Lauro, ha costretto l’arcivescovo di Sanremo, monsignor Antonio Suetta a un doveroso chiarimento. Per la verità l’ha dovuto fare anche l’anno scorso per un altro artista (?). La penosa esibizione del primo cantante ancora una volta ha deriso e profanato i segni sacri della fede cattolica evocando il gesto del Battesimo in un contesto insulso e dissacrante.[…] Indeciso se intervenire o meno, – ha chiarito monsignor Suetta – dapprima ho pensato che fosse conveniente non dare ulteriore evidenza a tanto indecoroso scempio, ma poi ho ritenuto che sia più necessario dare voce a tante persone credenti, umili e buone, offese nei valori più cari per protestare contro attacchi continui e ignobili alla fede”.  Ho ritenuto doveroso denunciare ancora una volta come il servizio pubblico non possa e non debba permettere situazioni del genere, sperando ancora che, a livello istituzionale, qualcuno intervenga; ho ritenuto affermare con chiarezza che non ci si può dichiarare cattolici credenti e poi avvallare ed organizzare simili esibizioni; ho ritenuto infine che sia importante e urgente arginare la grave deriva educativa che minaccia soprattutto i più giovani con l’ostentazione di modelli inadeguati”. Il presule è consapevole che la sua “contestazione troverà scarsa eco nel mondo mediatico dominato dal pensiero unico”

Tuttavia monsignor Suetta, é convinto, “di dover compiere il mio dovere di pastore affinché il popolo cristiano, affidato anche alla mia cura, non patisca scandalo da un silenzio interpretato come indifferenza o, peggio ancora, acquiescenza”. Consapevole che ilraglio d’asino non sale al cielo

Comunque secondo il giornalista di atlanticoquotidiano quello che infastidisce del carrozzone di Sanremo è la costante volontà di imporre figurine politicamente corrette”. Un miscuglio di divampante retorica.

Immaginate, -si chiede Milanesi – solo per un secondo, se Achille Lauro avesse messo in atto una parodia sul Ramadan o sul Corano. Probabilmente, oggi la sinistra sarebbe schierata unanimemente a chiedere l’esclusione del cantante “razzista” e “intollerante” dal Festival. Immaginate, solo per un secondo, se i Rappresentante di Lista si fossero lasciati andare al saluto fascista e non al pugno comunista. Probabilmente, avremmo letto fiumi di indignazione giornalistica sul pericolo “fascismo”. E ancora: immaginate, solo per un secondo, se al posto della retorica pro-gay avesse preso il microfono un esponente pro-vita e pro-famiglia tradizionale. Come avrebbe reagito l’intellighenzia di sinistra?

Inoltre il giornalista del giornale online, applaude alla risposta de L’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, chiamato in causa da Fiorello: “eccoci qui a dire la nostra, come richiesto, su Achille Lauro. In punta di piedi. Perché Sanremo è Sanremo. L’Osservatore è L’Osservatore. E in questo caso si limita ad osservare che, volendo essere a tutti i costi trasgressivo, il cantante si è rifatto all’immaginario cattolico. Niente di nuovo. Non c’è stato nella storia un messaggio più trasgressivo di quello del Vangelo. Da questo punto di vista difficilmente dimenticheremo la recita del Padre Nostro, in ginocchio, di un grande artista rock come David Bowie. Non ci sono più i trasgressori di una volta.

Comunque sia è un fatto che il festival di Sanremo ormai si è trasformato nel salotto dell’élite politicamente correttissima, nello spot di chi ritiene l’Italia un Paese razzista. Poca musica, tanta politica e sempre dalla solita parte. Poca musica, tantissimo show.

L’obiettivo è quello di sfruttare uno spazio televisivo pubblico, a carico dei contribuenti, per una parata politica che, intelligentemente, il giornalista Marcello Veneziani ha ridefinito “Fessival”, in grado di correggere in toto la società: la natura, il sesso, il pensiero, la religione.

 

Quinto de Stampi MI, 7 febbraio 2022

S. Teodoro                                                  DOMENICO BONVEGNA

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