MASSUD, IL LEGGENDARIO “LEONE DEL PANSHIR” .

MASSUD HA LOTTATO CONTRO I DUE TOTALITARISMI: QUELLO SOVIETICO E QUELLO TALEBANO.

Mantenere la democrazia in Afghanistan non è facile. Anni fa dopo una elezione presidenziale in Afghanistan sostenevo che era estremamente importante per la diplomazia internazionale sostenere la battaglia di libertà e di civilizzazione che aveva intrapreso il leggendario comandante Ahmad Shah Massud, l’unico leader, rimpianto da tutti, che forse poteva dare l’unità politica all’Afghanistan.

Proprio in questi giorni, nella consueta libreria dell’outlet milanese, mi è capitato tra le mani un ottimo libro scritto da un giornalista americano che vive in Francia, Michael Barry, “Massud. Dall’islamismo alla libertà”, edito da Ponte alle Grazie nel 2003.

Ho sempre guardato con una certa simpatia e curiosità, ma soprattutto con ammirazione al comandante Ahmad Shah detto Massud, eroe nazionale del popolo afghano, il vero capo carismatico, che ha liberato prima il proprio Paese dall’invasione sovietica dell’Armata Rossa, e poi dalla dittatura islamista dei talebani.

Il libro di Barry è un “raro esempio di giornalismo investigativo”, che riesce a raccontarci la figura purtroppo poco conosciuta del comandante Massud. Un difetto del testo, è sicuramente la mancanza di una cartina geografica del territorio dove ha operato il leggendario comandante.

L’autore, ricostruisce il percorso di questo grande personaggio che si è trovato coinvolto nella doppia lotta contro i totalitarismi sovietico e talebano. Una “lotta che ha combattuto con estremo coraggio e da cui è stato in un certo senso sconfitto, diventando un martire e ‘emblema di un eroismo della libertà, di un genio strategico messo generosamente al servizio di una tenace lotta per l’indipendenza nazionale”.

Non so se Barry, dà una completa e realistica immagine del “principe filosofo”, del “comandante-signore”, l’amer-sahib, ma certamente dal testo si intravede un Massud aderente ai valori tradizionali che suggeriscono la dignità dell’essere umano e la sua ricerca a tutto tondo (anche nella dimensione spirituale) senza l’obbligo di etichette di appartenenza, che ormai paiono indispensabili nell’appiattimento quotidiano.

Certamente Massud fu “una figura ingombrante e fastidiosa per le orecchie sorde e i cuori imbalsamati del secolo, quasi del tutto scomparsa dal consorzio umano, che lo dimenticherà in fretta per aver testimoniato senza parole, perfino in circostanze drammaticamente severe come la guerra, quell’insegnamento trasversale che scorre in molti sentieri, da Platone, a Echkart, allo Zen e il Sufismo (Al Ghazali, ad esempio, che Massud leggeva di notte): se vuoi comprendere, dimentica te stesso”. Peraltro, durante il suo esilio a Peshawar, arrivò a leggere fino a tre libri al giorno. Il Massud politico appartiene a una specie molto rara, Barry addirittura lo accosta all’agire gesuitico, del contemplativo in azione. Un insegnamento scrive Barry, che“dista anni luce dagli incubi di un Bin Laden” e dei suoi successori.

Massud era diverso dagli altri anche in guerra, il «leone del Panshir» viene definito, per la gentilezza dei modi e per un “profondo sentimento di pietà e clemenza , ha sempre riservato un trattamento umano ai suoi prigionieri e non è poco nel clima di lotta senza quartiere che i mujaheddin affrontavano ogni giorni contro avversari spietati come i russi e poi i talebani. Comunque sia il capo tagiko ha studiato bene la tecnica di guerriglia di Mao Tze Tung e l’ha sempre utilizzata contro i sovietici russi, in particolare nella sua valle, il Panshir, in mezzo a cime che toccano i 6000 metri, tra valichi a 4000 metri di altitudine, tra strette gole, autentiche strozzature, con muraglie di roccia a picco.

Il Barry ne elenca i vari passaggi strategici utilizzati da Massud: “il nemico avanza, noi battiamo in ritirata; il nemico si accampa, noi lo logoriamo; il nemico si stanca, noi lo attacchiamo; il nemico si ritira, noi lo inseguiamo”. Tuttavia Massud era convinto che la prima condizione per vincere era quella di avere il sostegno attivo della popolazione.

Massud non cercò mai la vendetta, “non violò mai il muro di cinta della rappresentanza delle nazioni Unite a Kabul”. Nel territorio controllato dal comandante filosofo, “non si verificavano né amputazioni, né lapidazioni, nessuna delle terribili punizioni corporali previste della shari’a”. Mentre a Herat, nelle zone meridionali del paese, controllati dai talebani, si tagliavano mani e piedi e gli alberi venivano addobbati da file di mani tagliate.

Massud nel Panshir rispettava la tradizione, eppure era stato educato a Kabul negli anni settanta in un ambiente liberale, frequentava il liceo francese, apprezzando i diritti acquisiti delle donne, tra l’altro, le sue tre sorelle, non hanno mai portato il velo. Di fronte alle aberrazioni talebane Massud ha sempre saputo dare il giusto peso alla fondamentale partecipazione delle donne al gioco politico afghano. Rispondendo alla giornalista Colombani, qualche settimana prima di essere ucciso, diceva: “Noi cerchiamo di togliere alle donne le catene, mentre i talebani non fanno altro che renderle più pesanti. Così le donne hanno due nemici: la guerra e la nostra cultura(…) e dando loro la possibilità di istruirsi che potranno ottenere le armi per liberarsi”. E in un’altra intervista, sostiene che per lui, “la donna e l’uomo, da un punto di vista umano, hanno entrambi lo stesso valore. Le donne potranno studiare, ottenere lo spazio che meritano in ogni tipo di lavoro, esprimere il loro voto nelle elezioni che si terranno in futuro ed essere a loro volta candidate”.

Il saggio di Barry fa capire perché alla fine Massud e i suoi erano tanto odiati dagli islamisti di Bin Laden. In pratica, Bin Laden doveva appropriarsi della vittoria islamica contro l’Armata Rossa (l’Occidente), non poteva lasciarla a Massud, il simbolo della resistenza e per questo lo ha fatto uccidere il 9 settembre 2001, da due kamikaze magrebini, finti giornalisti. Pertanto, scrive Barry: “Tanto più interessante, perciò, diventa l’avventura spirituale di Massud. La sua eroica contestazione dell’islamismo proviene dall’interno dell’Islam, si richiama all’Islam più tradizionale e profondo, un Islam sufi, radicato in una terra, aureolato di gloria nella lotta, e a partire da ciò arriva a preconizzare la difesa di libere elezioni e dei diritti umani universali”. Tra l’altro, secondo il giornalista “nessuna personalità a tutti gli effetti musulmana che abbia lottato contro l’islamismo, in questo XX secolo ormai concluso, può dire di aver raggiunto la levatura eroica di Massud”.

Il 7 aprile 2001 quando Massud approdò a Strasburgo per chiedere aiuto all’Europa, al giornalista del Corriere della Sera, Ettore Mo, confidò con amarezza: I governi europei non capiscono che io non combatto solo per il mio Panshir, ma per bloccare l’espansione dell’integralismo islamico scatenato a Teheran da Khomeini… Ve ne accorgerete”. Ce ne siamo accorti tardivamente qualche mese dopo, l’11 settembre con l’atto di guerra dell’abbattimento delle “twin towers”.

Rozzano MI, 7 Aprile 2014 

S. Giovanni Battista de la Salle                         DOMENICO BONVEGNA 

   

PER VINCERE LA GUERRA CONTRO IL TERRORISMO JIHADISTA DOBBIAMO STUDIARE IL COMANDANTE MASSOUD.

Quel che serve per convincere i musulmani a non combattere il jihad contro i cristiani e l’Occidente – scrive Anna Bono – non è che gli imam vadano a Messa una domenica, seduti in prima fila, disposti a scambiare il segno della pace con i fedeli (che è la pace di Gesù, non quella degli uomini), a parlare di pace e recitare versetti del Corano e a mangiare pezzi di pane offerti loro dal celebrante al momento dell’Eucarestia”. Piuttosto serve che questi religiosi islamici propongono“ un islam che escluda il jihad contro gli infedeli, e contro gli islamici blasfemi e apostati. Serve che gli imam in moschea, ogni venerdì dopo le preghiere, parlino degli attentati e della guerra in nome di Allah e li condannino, dicano nome ed età delle vittime di jihad, ne raccontino le vite spezzate”. (Anna Bono, Quel che gli imam devono fare (e non fanno), 6.8.16, LaNuova BQ.it)

E non serve neanche combattere il terrorismo islamista con quelle manifestazioni infarcite dalla canzone “Imagine”, dei Beatles, che magari provoca la commozione di molti, soprattutto a beneficio delle riprese televisive”. Ma poi se andiamo a vedere, “le parole di quella canzone, dalla musica coinvolgente, costituisce un vero e proprio manifesto della cultura nichilista e relativista”.

Nel testo si “immagina” un mondo di fratellanza universale, reso possibile solo dalla scomparsa di ogni religione, di Dio, della politica, delle nazioni, dei popoli veri e così via. Non mi pare che si tratti di fratellanza, ma di un appiattimento che fa fuori ogni identità e ogni ideale personale e sociale. E il mondo cattolico, pervaso di sentimentalismo, ci sta cascando”. (Peppino Zola, Se il relativismo ci prepara alla dominazione, 7.8.16, LaNuovaBQ.it)

 

Intervista allo storico militarista Alberto Leoni.

Alberto Leoni, storico militarista, autore di significative opere di storia sulle guerre e le conquiste islamiche, intervistato da la NuovaBQ.it ha rilasciato delle importanti dichiarazioni. Intanto rileva molta confusione, anche tra i capi di governo in Europa, non hanno chiaro il fenomeno terrorista che stanno affrontando. Bisognerebbe chiedere a loro a quale modello di guerra sono fermi: alla Seconda Guerra Mondiale”, se è così,“sono completamente fuori strada”. Se invece “intendono una guerra asimmetrica, dove tutte le risorse di una nazione sono coinvolte, allora hanno ragione”. E per risorse, lo storico, intende:“risorse culturali, economiche e anche militari. Queste ultime sono in gioco, in proporzione rilevante ma minoritaria. Abbiamo illustri precedenti di guerre asimmetriche, non è un fenomeno del tutto nuovo”.

Leoni fa riferimento niente meno che alla Guerra Fredda (1945-1991), guerreggiata in tutto il mondo, rimasta “congelata” solo in Europa. Una guerra abbastanza calda, visto il gran numero di morti.“Gli Usa hanno subito 100mila fra morti e dispersi su fronti extra-europei, loro la guerra l’hanno combattuta veramente. Noi no: in Europa, Nato e Patto di Varsavia si sono fronteggiati lungo la cortina di ferro, per decenni”.

Peraltro in quegli anni, i comunisti stavano vincendo la battaglia ideologica, il filosofo e politologo, James Burnham, per spiegare questa vittoria, ribalta il motto di von Clausewitz: “la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi”. Sostanzialmente si possono raggiungere obiettivi militari attraverso metodi non violenti, come hanno fatto i dissidenti nell’Est, Solidarnocs e lo stesso Papa Giovanni Paolo II.

Leoni sottolinea l’impegno delle forze dell’ordine italiane, dell’intelligence che funzionano, anche grazie all’esperienza della lotta al terrorismo rosso, hanno imparato a dialogare tra loro. Inoltre si è evitato di creare ghetti, quartieri interamente islamici, come le banlieau in Francia, o in Belgio come Molembeek a Bruxelles.

Per lo storico questa è una guerra che si vince anche nei rapporti spiccioli, quotidiani, come un insegnante che dà lezioni di italiano ai ragazzini musulmani, soprattutto si cerca di educare l’universo femminile, da dove si spera che parta una riforma del mondo islamico.

Il terrorismo jihadista islamista colpisce principalmente i musulmani.

Chiaramente per Leoni la distruzione dello Stato Islamico (il Califfato) è fondamentale per vincere la guerra contro il terrorismo jihadista, anche se poi la questione non è risolta. L’intervista si conclude con delle osservazioni interessanti. Lo storico è convinto che non sia vero che “l’islam è una religione di pace e non ha nulla a che fare col terrorismo”. Chi vuole, può trovare, all’interno della tradizione e della letteratura dell’islam, gli elementi necessari a giustificare la guerra. Ma è anche vero che (e questa è una cosa che non trovo veramente da nessuna parte), l’80% degli attentati avvengono in Iraq e in Pakistan, dove i morti sono quasi esclusivamente musulmani. Specie in Pakistan, i terroristi sunniti uccidono altri sunniti, non c’è nemmeno la giustificazione dello scontro settario fra sunniti e sciiti”.

A questo punto è interessante la domanda che si pone Leoni: Chi sta realmente combattendo contro il terrorismo? Altri musulmani. Stanno combattendo la nostra battaglia, come i dissidenti e i cristiani dell’Est europeo durante la Guerra Fredda. E questa è una cosa di cui dobbiamo essere consapevoli e convinti. I numeri parlano chiaro, la realtà è testarda: l’islam è una religione guerriera, ma ha al suo interno gli anticorpi necessari a resistere al veleno terrorista. L’Isis è quella follia che distrugge i luoghi più belli e più sacri dell’islam, come i santuari sufi e sciiti, tesori dell’umanità. E poi c’è chi prova a resistere. C’è l’attentatore suicida che si fa esplodere per uccidere indiscriminatamente, ma ricordo anche che, nel gennaio del 2005, durante le prime elezioni in Iraq, in cinque punti diversi di Baghdad, poliziotti iracheni si lanciarono contro gli uomini-bomba e preferirono morire loro stessi per sventare la strage”.

Secondo Leoni,Un esempio luminoso è quello del comandante Massud, che resistette ai Talebani e fu da essi ucciso alla vigilia dell’11 settembre 2001. In una preghiera recitava: “Ringrazio l’Onnipotente che ci ha dato la Sua forza e la Sua gentilezza, per resistere a questa gente lontana da Dio”. E parlava dei Talebani. La sua lezione non è mai stata fatta nostra.(“Possiamo vincere la guerra con i jihadisti”, di Stefano Magni, 2.8.16, LaNuovaBQ.it)

L’importanza strategica di studiare Massud, il “Leone del Panshir”.

Qualche anno fa ho fatto una ricerca su Ahmad Shah Massud, il leggendario “Leone del Panshir”, il “principe filosofo”, che ha combattuto tra le montagne dell’Afghanistan prima contro l’invasione sovietica dell’Armata Rossa e poi contro la dittatura islamista dei Talebani. Ho utilizzato uno splendido saggio, di uno scrittore americano, Michael Barry, “Massud dall’islamismo alla libertà”, pubblicato da Ponte delle Grazie(2003)

Nel mio piccolo avevo capito dell’importanza strategica di studiare questa splendida figura del “comandante-signore”, l’amer-sahib. Infatti, il Massud politico appartiene a una specie molto rara, Barry addirittura lo accosta all’agire gesuitico, del contemplativo in azione. Un insegnamento scrive Barry, che“dista anni luce dagli incubi di un Bin Laden” e dei suoi successori.

Massoud era diverso dagli altri anche in guerra, il «leone del Panshir» viene definito, per la gentilezza dei modi e per un “profondo sentimento di pietà e clemenza , ha sempre riservato un trattamento umano ai suoi prigionieri e non è poco nel clima di lotta senza quartiere che i mujaheddin affrontavano ogni giorni contro avversari spietati come i russi e poi i talebani.

Rispondendo alla giornalista Colombani, qualche settimana prima di essere ucciso, diceva: Noi cerchiamo di togliere alle donne le catene, mentre i talebani non fanno altro che renderle più pesanti. Così le donne hanno due nemici: la guerra e la nostra cultura(…) e dando loro la possibilità di istruirsi che potranno ottenere le armi per liberarsi”. E in un’altra intervista, sostiene che per lui, “la donna e l’uomo, da un punto di vista umano, hanno entrambi lo stesso valore. Le donne potranno studiare, ottenere lo spazio che meritano in ogni tipo di lavoro, esprimere il loro voto nelle elezioni che si terranno in futuro ed essere a loro volta candidate”.

E qui si può notare perchè il comandante afghano era una figura ingombrante e fastidiosa e tanto odiata da bin Laden e dagli islamisti, per questo lo hanno ucciso il 9 settembre 2011. Studiare Massoud è importante, La sua eroica contestazione dell’islamismo proviene dall’interno dell’Islam, si richiama all’Islam più tradizionale e profondo, un Islam sufi, radicato in una terra, aureolato di gloria nella lotta, e a partire da ciò arriva a preconizzare la difesa di libere elezioni e dei diritti umani universali”. Tra l’altro, secondo Barry, “nessuna personalità a tutti gli effetti musulmana che abbia lottato contro l’islamismo, in questo XX secolo ormai concluso, può dire di aver raggiunto la levatura eroica di Massud”.

Il 7 aprile 2001 quando Massud approdò a Strasburgo per chiedere aiuto all’Europa, al giornalista del Corriere della Sera, Ettore Mo, confidò con amarezza: I governi europei non capiscono che io non combatto solo per il mio Panshir, ma per bloccare l’espansione dell’integralismo islamico scatenato a Teheran da Khomeini… Ve ne accorgerete”. Ce ne siamo accorti tardivamente qualche mese dopo, l’11 settembre con l’atto di guerra dell’abbattimento delle “twin towers”.

 

S. Teresa di Riva ME, 8 agosto 2016    

S. Domenico di Guzman                                                  DOMENICO BONVEGNA

                                                                                                 domenico_bonvegna@libero.it

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