UN MANUALE DEGLI ITALIANI ONESTI PER DIFENDERLI DALLO “STATO CANAGLIA”.

MENO STATO PIU’ SOCIETA’, E’ UNO SLOGAN CHE SI TROVA NELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA.

Nei miei abituali raid presso la solita libreria remainders di Milano mi è capitato tra le mani un libro molto interessante dal titolo altisonante, Manuale di sopravvivenza a uso degli italiani onesti, di Sergio Ricossa, accademico dei Lincei e professore emerito di Politica Economica nell’Università di Torino. Il testo è stato scritto nel 1997, ripubblicato da Rubbettino Editore nel 2011, sembra scritto oggi in tempi di crisi economica, di sacrifici e di governo tecnico, per questo consiglio di leggerlo.

Il protagonista del manuale non è “l’onesto massimo, colui che giunge a toccare la santità e l’eroismo, e se occorre affronta il martirio”, ma “l’onesto medio”, è quello che paga le imposte, magari pronto a sostenere la propria causa, ma senza martirio. Il manuale a tratti è ironico, divertente, e soprattutto provocatorio, è una lettura di cui dovrebbe avvalersi ogni generazione, per tentare di sottrarsi alle astuzie dei furbi. L’agile testo di Ricossa è arricchito da una nutrita galleria di personaggi: da Napoleone a Cavour, da Croce, Gentile, Togliatti al banchiere Mattioli. La penna di Ricossa coglie impietosamente contraddizioni e debolezze, a cui i luoghi comuni assicurano solitamente impunità. 

Leggendolo ognuno potrà trarre degli spunti utili per difendersi da certi “furbi” che navigano negli ambienti della politica, dell’economia, del fisco, delle leggi, a scuola. La lettura di certi passaggi del manuale, ha rafforzato le mie convinzioni sulla vera politica, soprattutto in questi giorni in cui raccoglievo qualche notizia sulle candidature per le prossime amministrative del mio comune di residenza. Dobbiamo pretendere “governanti dediti a una buona, ma ordinaria amministrazione, senza velleità di alcun genere (…) Guai a cadere vittime dello sfruttamento delle buone intenzioni”. E tutti, diventando degli scolari, dovremmo chiedere ai presunti maestri di spiegarci una buona volta: che cos’è il bene comune? E’ il bene di tutti, nessuno escluso? E’ il ben di ogni individuo nella società?

Bisogna stare attenti a quelli che vogliono amministratori perfetti, puri e casti: “ne consegue che è vano illudersi di potersi affidare all’eccellenza dei comportamenti – scrive Lorenzo Infantino nella prefazione – il primo e più profondo problema della vita collettiva consiste nel fare in modo che vengano ridotte al minimo le occasioni in cui sia possibile danneggiare il prossimo”. Il debole, l’onesto medio, deve sempre diffidare dall’”eroe” che molto spesso non è tale e che, sulla smisurata fiducia che pretende, edifica le sue imprese e realizza i suoi abusi”.

Soprattutto in campo politico troviamo i “mestieranti”, che sono solo delle “maschere sociali: ridicole per l’inanità di quel che declamano, tragiche per le conseguenze di medio e lungo termine prodotte da ciò che suggeriscono”. Nell’ampio territorio dei furbi sono quelli che sistematicamente utilizzano l’impostura intellettuale come mezzo di accaparramento del potere.

Certo, il manuale, non ha la pretesa di rispondere a tutte le obiezioni, lo scrive Ricossa, insieme bisogna usare il proprio cervello e soprattutto non dobbiamo sentirci come l’ultimo dei Mohicani. Il manuale non dice di fare i furbi ma di restare onesti, ma con giudizio. Non dice di imitare un certo “Alessandro Guiccioli, che nel 1795 a Ravenna tenne le coccarde tricolori ben nascoste e decise di attendere Napoleone per prender parte alle ruberie, che l’imperatore autorizzerà”. E’ evidente che il suo programma è disgustoso.

A pagina 51, Ricossa, scrive che “l’onesto medio deve temere i buoni sentimenti. I furbi cominciano lodando l’onestà e l’onesto”.” I furbi amano le parole astratte, come solidarietà, onestà, umanità, pace, paradossalmente, per Ricossa, si dovrebbe far pagare una soprattassa per ogni parola astratta. Spesso i buoni sentimenti sono conditi di melassa, ci sono i rivoluzionari del bene, così per la salute d’Italia, si ammette ogni tipo di nefandezza. “Se i problemi d’Italia si risolvessero con qualche fucilato o impiccato, li avremmo risolti da un pezzo. Li avremmo azzerati, da secoli, con poca spesa”. Ma “i buoni sentimenti, melassosi o pepati, non sono rimedi: sono trappole, magari trappole mortali”. I furbi si vantano di raddrizzare i gobbi, li stringono nel torchio e dopo il crich, li fanno morire, in pratica, quello che sta facendo il governo Monti-Napolitano.

Il professore Ricossa loda il dopoguerra nel 1945, quando l’Italia sconfitta, “rinunciò per qualche tempo alla sua consueta megalomania. Concentrò il pensiero sulla ricostruzione, e si ricostruì”, anche se poi nel 1960, rispuntò il vizio dei colori vistosi: il rosso, il comunismo che voleva fare la società perfetta. Oggi la zoppicante Italia unita, insegue l’Europa unita; altra parola talismano: l’unità. Certo, qualunque unificazione è fascinosa.“Il comunismo, religione di perfettisti, in Italia intitolò il suo giornale: “l’Unità”. Il partito unico (una contraddizione in termini) fu richiesto dai perfettismi fascista, nazionalsocialista e comunista sovietico”.

Ricossa auspica provocatoriamente per l’onesto medio un governo che non esageri nel governare (…) un governo che si contenti di governare meno, molto meno del massimo sopportabile dai governati. Nel libro di Ricossa affiora lo slogan caro in certi ambienti cattolici: meno Stato più società.

Il manuale si basa sui dipoli, a pagina 73, c’è quello forse più diffuso: destra e sinistra. La sinistra è come le prostitute che dicono ai giovani: se non ti fermi, non sei un uomo. La sinistra dice ai giovani: “se non vieni con me non hai cuore”. I buoni sentimenti sono diffusi tra i politici, in particolare tra quelli di sinistra. Sempre nel clima provocatorio, il professore Ricossa, sentenzia che la sinistra non esiste. Nemmeno la destra, esiste. Il dipolo sinistra-destra appartiene al gergo dei ciurmatori della politica.

Sono interessanti alcuni passaggi storici del manuale, i bolscevichi e i fascisti, sono la sinistra e la destra? Macchè. Bolscevichi e fascisti sono accumunati dall’odio per la borghesia. Ricossa cita alcuni personaggi, comincia da Mussolini che si augurava di fare una “rivoluzione spietata, che quella del camerata Lenin sarebbe stata al confronto uno scherzo innocente”. E poi Bottai: “noi fascisti siamo più socialisti dei bolscevichi”. Del resto don Sturzo dirà: “il bolscevismo è un fascismo di sinistra, e il fascismo un bolscevismo di destra”. Anche se poi, la parentela tra fascisti e comunisti, non impedì di uccidersi a vicenda. Nel 1943, “un anno prima di essere assassinato dai “rossi”, Gentile cercò ancora di spiegare ai suoi parenti-nemici che il fascismo corporativo era null’altro che una forma di superiore di comunismo”.

Altra figura patetica è quella del romagnolo Nicola Bombacci, il fassista, che nel 1918, parla da romagnolo bolscevico: “se entro tre mesi noi non costituiremo anche in Italia i Soviet, voi mi dovrete tagliare la testa!”.

Poi nel 1921 fonda, con Gramsci, Togliatti e altri, il Partito comunista d’Italia, nel 1936 crea e dirige, “La Verità”, filofascista. Nel 1943, aderisce alla RSI, e nel 1945, muore fucilato con Mussolini dai comunisti. L’ultimo suo grido: “Viva il socialismo!”

 L’”ONESTO MEDIO” VESSATO DALLE LEGGI E DAL FISCO. il fisco, le leggi, la scuola.

Secondo Sergio Ricossa alcune norme della Costituzione Italiana è obbligatorio dimenticare. Il motivo? Perché sono inapplicabili. “All’articolo 32 la salute è riconosciuta quale ‘fondamentale diritto dell’individuo’, ma non si chiede il permesso ai batteri, ai virus e agli altri innumerevoli agenti patogeni, che di quel diritto se ne infischiano”. (pagina 80)

Il professore Ricossa è convinto che più leggi ci sono, più bassa è la loro qualità e di conseguenza anche più bassa è il rispetto che sentiamo per le normative. Inoltre sempre secondo Ricossa è molto basso il rispetto che sentiamo per i giudici e gli avvocati. “Oggi la Magistratura italiana è criticata perfino dai magistrati che la compongono. Magistrati accusano e imprigionano altri magistrati”.

Il manuale di Ricossa è ricco di paradossi e di provocazioni, cita tre frasi, la prima di Giuseppe Prezzolini: “In Italia, tre quarti della nostra vita è illegale, e fortunatamente”, poi Sergio Romano: “Volete rispettare la legge? Dovete rinunciare a iniziative intelligenti, creative, proficue. Volete realizzare le vostre idee? Dovete violare la legge”, infine Giuseppe Pontiggia: “L’economia sommersa, fondata sul doppio lavoro e sul lavoro nero, è l’economia che ha permesso all’Italia di emergere in anni in cui l’economia emersa affondava”.

Sempre in riguardo alle leggi, Ricossa ammette che la “Gazzetta Ufficiale” “andrebbe scritta con due inchiostri, uno rosso per le leggi da prendere sul serio, e uno nero, per le leggi trascurabili. Ma dall’oggi al domani, senza preavviso, per un cambiamento d’umore della magistratura o di una parte di essa, la scrittura nera diventa rossa e viceversa”. (pagina 81) Non sarà facile per l’onesto medio italiano barcamenarsi nell’osservare circa centocinquantamila norme statali ‘vigenti’, più i loro regolamenti di applicazione e le circolari interpretative, più le leggi regionali e i regolamenti locali, più le direttive dell’Unione Europea. Pertanto Ricossa consiglia di “non fidarsi del parere dei luminari del diritto, quando si tratti di capire una oscura disposizione di legge”.

Si possono prendere facilmente degli abbagli clamorosi, nella scienza giuridica sono facili gli errori. Ma le leggi che più deve temere l’onesto medio sono quelle del fisco, per tanti motivi. Innanzitutto, “le autorità pubbliche mostrano un particolare accanimento nel farle rispettare. Il verbo ‘rispettare’ non è il più adatto -ci tiene a precisare Ricossa – nessun contribuente può rispettare norme iugulatorie, le subisce e basta. Il moderno legislatore italiano si distrae facilmente se si tratta di difendere un privato dall’ingiustizia, dal furto con scasso, dal sequestro di persona, dall’omicidio, ma è all’erta più che mai per tutelare i privilegi degli uomini politici, a cominciare da quelli che dispongono dell’erario o ‘tesoro’ statale” (Pag. 85)

E sempre con tono polemico il professore lamenta la scomparsa della proprietà privata, questo diritto sembra scomparso. La proprietà privata è più facile che diventi proprietà pubblica.

Sulle cosiddette privatizzazioni, si fa solo chiasso, si cerca di confondere le idee all’onesto medio. “Talvolta sono finte privatizzazioni – scrive Ricossa – talaltra sono semplici espedienti per rendere liquida, più maneggevole nell’uso politico, la ricchezza pubblica”. A questo punto il manuale mette in guardia l’onesto dall’uso del linguaggio che i furbi fanno. Mi viene in mente il professor Plinio Correa De Oliveira che invitava il controrivoluzionario a stare attento alle parole talismano. Questo capitolo sul fisco sembra scritto in questi giorni sotto il governo Monti. Nella nostra democrazia per Ricossa, il “contribuente non ha potere contrattuale. Ogni cittadino ha perso potere contrattuale, il contribuente più di tutti. Egli è la forma più vulnerabile che il cittadino possa assumere, o anzi è la forma del cittadino reso suddito, se non schiavo”.

Alle maglie strette del fisco è difficile sfuggire, inoltre è quasi impossibile che esista un contribuente in regola. La complessità delle norme, vieta al contribuente di rinunciare al consulente e passare al “fai da te”. Il professor Giorgio Della casa ha calcolato che, “per essere completamente informati” sulla produzione letteraria del fisco, il più prolifico scrittore della Penisola, bisognerebbe leggere sessanta pagine al giorno di prosa sibillina, pari a circa cinque ore al giorno di decifrazione. Parliamo del fisco statale, trascurando quello locale”.

A pagina 95 il manuale di Ricossa sempre col solito piglio provocatorio affronta il tema della scuola in Italia. “Per troppi alunni la scuola è una specie di carcere, che dura dall’infanzia all’adolescenza e oltre. (E per troppi carcerati, la prigione è una specie di scuola, che insegna le arti criminali). Pertanto, addirittura per Ricossa, la scuola, per chi ha germi dell’onesto medio, può essere una minaccia, una causa di morte della vocazione. Anche se il professore non se la sente di consigliare di non mandare i propri figli a scuola, e quindi scrive: “non intendiamo tessere l’elogio dell’analfabetismo, per quanto sconce scritte spray di ignoti letterati notturni, sui muri degli edifici di interesse storico e artistico, ci inducono spesso in tentazione”. Imparare a leggere e a scrivere, nonostante tutto è ancora conveniente. A patto che andare a scuola non significa andare in carcere, e che la buona cultura sia divertimento. Anche per Ricossa il prolungamento della scuola dell’obbligo e l’abolizione dell’avviamento al lavoro nella scuola sono due errori gravi.

“Ai giovani e giovanissimi l’obbligatorio non piace mai, almeno in Italia; l’avviamento al lavoro, per contro, è almeno in parte vocazionale. Risultato: la scuola-carcere, appunto, e la disoccupazione alle stelle”. Mi sembra di leggere le provocazioni della professoressa Paola Mastrocola.

Tuttavia il professore ci invita a rivolgerci ai minori di vent’anni, che sono ancora creaturine incerte tra la via dell’onestà e della furbizia. Chi ha più di vent’anni ormai nessuno lo convertirà. Questo manuale-salva-vita può essere utile per loro: “all’onesto embrionale diciamo di non simpatizzare di primo acchito col missionario zelante”. Ricossa si riferisce in particolare a quelli che predicano da maestri, professori, intellettuali, scrittori noti o amici di celebrità, che conoscono tutti i mali del mondo e i rimedi sono sicuri, immediati e semplici. Questi sono i cattivi maestri che magari sperano che in classe non vi sia un Pierino, che alzi la mano e chieda: ‘Che cos’è il progresso?, chi giudica se andiamo verso il meglio?, che cos’è il bene supremo? Noi stiamo con Pierino, e lo invitiamo a scoprire quanto sia divertente la cultura che mette in imbarazzo il maestro. Cerchi e legga libri anticonformisti e perciò scandalosi; autori beffardi con lo sberleffo facile. Sappia, il Pierino piccolo, che esiste una cultura divertente creata da Pierini grandi di età, di merito, di forza dissacrante, di indisciplina”. La mia biblioteca è piena di libri con queste caratteristiche. Confesso e concludo: ho sempre desiderato ritornare sui banchi di scuola per mettere in difficoltà certi prof che sfruttano le buone intenzioni delle anime candide.

Rozzano MI, 30 aprile 2012

Festa di S. Pio V                                                                      DOMENICO BONVEGNA

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