LE SCUOLE DEI CENTRI COLLINARI CHIUDONO PER MANCANZA DI BAMBINI.

E’ un intervento che avevo fatto tanti anni fa partendo da una notizia in merito alla possibile chiusura della scuola Primaria di un famoso centro collinare del messinese.

Nonostante vivo a Milano abitualmente seguo le notizie della Riviera Jonica messinese, attraverso il tg di una nota tv locale, apprendo che la Scuola Primaria di Castelmola (Me) rischia di chiudere per mancanza di iscritti, il sindaco della cittadina invita le famiglie a non iscrivere i propri figli ad altre scuole, e giustamente dice che una comunità civile non può perdere la scuola: Perdere la scuola in una comunità, significa far morire la sua linfa vitale, togliere le radici di cultura, identità e storia locale”. Il sindaco va oltre, e afferma che anche l’esistenza del comune rischia di saltare. La scomparsa di una scuola suscita problemi seri all’intera organizzazione sociale e civile di un paese. Il problema non riguarda solo Castelmola, ma quasi tutti i comuni collinari del nostro Sud e forse di tutto il Paese.

E’ chiaro che il problema principale non sono le famiglie che non iscrivono i propri figli nelle scuole di appartenenza, ma che non ci sono abbastanza bambini per mantenere aperto un edificio scolastico. Ricordo che proprio a Castelmola, tre anni fa, l’unica sezione di Scuola Materna, aveva ben sette bambini (dicasi 7), quasi come il personale scolastico. Simile situazione in altri centri collinari, dove per anni si sono fatti i salti mortali per mantenere aperte le scuole, ma prima o poi si è costretti a fare i conti con la dura realtà: manca la materia prima, i bambini.

Provo a fare qualche riflessione: i frutti amari della rivoluzione sessantottina,(amore libero, omosessualismo, divorzio, contraccezione, aborto, droga) sono i maggiori responsabili del disastro demografico del nostro Paese. A questo proposito scrive Ettore Gotti Tedeschi, “trent’ anni fa – grazie alle tesi malthusiane, rapidamente divulgate e altrettanto rapidamente recepite in un sistema culturale ormai relativista e prenichilista – il mondo occidentale decise di interrompere la natalità per il bene comune, per stare meglio e per non consumare troppo le risorse del pianeta”.

I risultati cominciavano a delinearsi fin dagli anni 90. In questi anni si potevano vedere i primi segnali di un futuro senza bambini. Alleanza Cattolica, mediando i continui interventi del Magistero della Chiesa, attraverso convegni, incontri, lanciava forti segnali agli uomini politici, ai partiti perché iniziassero a prendere coscienza del grave problema e soprattutto iniziassero a sostenere realmente la famiglia, le giovani coppie, la maternità, ma i risultati sono stati abbastanza deboli. Molte colpe vanno indirizzate al mondo politico, culturale di sinistra che quando sente parlare di famiglia, maternità, figli, comincia a frenare, diventa sordo, ma per la verità, anche certa destra non scherza.

La Chiesa, il grande Giovanni Paolo II fin dal 1985 ha definito la crescente diminuzione della popolazione come suicidio demografico”.  Il grande storico Arnold J. Toynbee diceva che sulla morte di una civiltà si scrivono pochi libri gialli, e per una buona ragione. Molto raramente c’è un assassino: di solito, si tratta di suicidio. Con gli attuali tassi di natalità Italia, Francia, Spagna, Olanda, Germania, dimezzeranno la popolazione nel corso di una generazione.

Il sociologo cattolico Massimo Introvigne, in un articolo pubblicato qualche anno fa, riferendosi al continente europeo, scriveva: “rimarrà sola tecnicamente, perché fra meno di un secolo gli europei non ci saranno più. La demografia li avrà spazzati via come spazzò via l’impero romano, il quale non cadde perché le sue quadrate legioni erano diventate quadrate, ma perché la pratica diffusa dell’aborto e dell’infanticidio aveva fatto sì che non ci fossero più legionari romani. Quando i barbari si accorsero di essere in maggioranza, presero il potere”(Massimo IntrovigneIl suicidio demografico, 4 novembre 2006 Il Domenicale).

Non solo Introvigne ma, molti studiosi a cominciare da Samuel Huntington col suo celebre, Lo scontro delle civiltà, Rodney Stark, Mark Steyn, la stessa Oriana Fallaci, hanno lanciato l’allarme da tempo, sono convinti che  il vuoto creato in Occidente a causa del suicidio demografico viene colmato dall’immigrazionismo soprattutto di matrice islamica, e qualcuno ha parlato addirittura di Eurabia”.

Steyn, attribuisce questo suicidio demografico alla “mancanza di fiducia nella propria civiltà”, ma forse è meglio l’espressione usata da Benedetto XVI: “mancanza di speranza”. Dopo aver perso la virtù della fortezza, l’Europa ha perso anche la speranza nel futuro. Le civiltà che non sperano non fanno figli, ma sono appunto le civiltà destinate a scomparire.

Dopo il crollo dell’impero romano, ci fu un San Benedetto a ricostruire sull’eredità greco-romana. Oggi, sembra che solo un altro uomo chiamato Benedetto si erga fra l’Europa e il suo suicidio annunciato da Steyn.

Di fronte a questo vero e proprio suicidio demografico quello che stupisce è che in Italia questo tema drammatico non sia ancora al centro del dibattito culturale e perfino delle campagne elettorali. Mi ricordo i miei sforzi (nel mio piccolo) negli anni 90, dopo il mio trasferimento proprio nella riviera jonica messinese, quando organizzavo insieme ad altri amici, incontri culturali, politici, a sostegno della famiglia, in favore della vita umana, contro l’aborto e cercavo di stimolare sul tema il mondo politico, culturale. Non era difficile incappare in qualche consigliere, assessore, sindaco, convinti che il problema non li riguardasse e magari col sorrisetto di sufficienza cercavano di snobbare il mio impegno, e le mie idee. Questi “politici” erano convinti che loro dovevano pensare ad altro. Ed io a ribadire che tutte le altre questioni cadono se poi manca la carne, e per carne intendevo i bambini.  Concludendo domandavo: a chi gli fai l’amministrazione senza nuove nascite? Solo agli anziani? Infatti ormai in questi centri collinari i bambini sono degli oggetti misteriosi, per strada troviamo soltanto anziani barcollanti e qualche giovane che non ha avuto il coraggio di trasferirsi.

Tre anni fa insegnando proprio a Castelmola, ho potuto verificare una certa desolazione tra le strette viuzze dell’incantevole centro collinare. Animato si da gruppetti di turisti peraltro quasi sempre anziani anche loro, ma mai da bambini o da giovani. A mia figlia che ama i gatti dicevo sempre che gli unici esseri viventi che dominano incontrastati erano dei grossi e pasciuti gattoni, probabilmente perché usufruivano dei rimasugli dei tanti ristoranti.

Certo il declino demografico ha tante cause, il problema è troppo grande rispetto alle questioni che devono affrontare ogni giorno gli amministratori locali di un piccolo comune. Forse pagano colpe non loro, tuttavia se oggi questi amministratori sono ridotti ad amministrare solo anziani, sarebbe opportuno ridurre il loro numero, incentivando magari strutture geriatriche.

Da tempo sono convinto che molti comuni appartenenti a questi centri collinari da tempo spopolati, si possono tranquillamente accorpare ad altri comuni più grossi, risparmiando ingenti risorse.

Comunque sia per uscire dalla crisi bisogna contrastare subito l’inverno demografico, scrivevo l’anno scorso, commentando un intervento del cardinale Angelo Bagnasco,  se si ritardano le decisioni vitali, se non si accoglie integralmente la vita, il nostro Paese rischia molto, il cardinale si riferiva alle riforme urgenti del nostro Paese, e tra queste non può mancare una seria politica familiare che aspetta da troppi anni, di partire.

Il lungo inverno demografico del vecchio continente e in particolare dell’Italia potrà finire solo se, finalmente, si attiveranno politiche familiari alternative alle attuali forme di welfare, obsolete e ideologiche.

In Italia da tempo ormai registriamo fenomeni di aumento dei single, delle famiglie senza figli, della monogenitorialità che si accompagna ad un calo dei matrimoni, sono dovuti proprio ad un deficit relazionaleLa famiglia viene vista come un costo e non come una risorsa.

E’ necessario un radicale cambiamento, bisogna sottolinearel’aspetto generativo della famiglia. Occorre una politica ad hoc  che abbia come mission il ‘fare famiglia’ ovvero il creare le condizioni perché sia possibile generare e rigenerare i beni relazionali. secondo il sociologo Donati in Italia, le politiche familiari sono deboli e dove chi si prende la responsabilità di una famiglia rischia l’anticamera della povertà perché, ad esempio, paga più tasse dei single e di chi non ha figli.

Non ci sono alternative se vogliamo uscire dalla crisi economica, morale e spirituale, dobbiamo sposarci, formare famiglie e soprattutto fare figli.

 

Rozzano MI, 8 febbraio 2011

S. Giuseppina Bakhita vr.                                            DOMENICO BONVEGNA

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