L’AVVENTURA FIUMANA DI GABRIELE D’ANNUNZIO.

Quest’anno ricorre il centenario dell’’impresa di Fiume, di Gabriele D’annunzio.

Giordano Bruno Guerri, storico del fascismo e studioso di D’Annunzio, per l’occasione ha scritto un nuovo libro, “Disobbedisco. Cinquecento giorni di rivoluzione. Fiume 1919-1920″, uscito per Mondadori, pubblicando tra l’altro tanti documenti inediti. 

Dell’autore basta ricordare che è uno storico e giornalista impegnato soprattutto nello studio del XX secolo e del ventennio fascista. Da diversi anni è presidente della Fondazione Vittoriale degli Italiani, ovvero la casa di Gabriele D’Annunzio a Gardone Riviera. 

Disobbedisco sorprende con le informazioni raccolte, specie un pubblico che la figura di D’Annunzio l’ha costruita su poche nozioni scolastiche e un po’ di curiosità personale.

 

L’AVVENTURA FIUMANA AVANGUARDIA DELLA RIVOLUZIONE CULTURALE SESSANTOTTINA.

Una premessa è d’obbligo, perché ci occupiamo di una pagina di Storia come quella della conquista di Fiume del 1919 ad opera del comandante Gabriele D’Annunzio, alquanto complessa e così lontana nel tempo. La risposta si potrà ricavare leggendo l’ottimo e ben documentato lavoro di Salvatore Calasso, pubblicato dalla rivista trimestrale, Cristianità (Luglio-settembre 2011, n.361), il titolo: “L’impresa di Fiume avanguardia della Rivoluzione Culturale”.

Intanto Calasso ritiene opportuno introdurre, l’episodio dell’impresa di Fiume anche se è avvenuto molto tempo dopo, con l’epopea risorgimentale. Di fatto, per Calasso, l’impresa di Fiume, conclude il Risorgimento: “Essa cerca di portare a compimento, in stile quasi garibaldino, l’unità del nuovo Stato italiano verso i suoi ‘confini naturali’, quelli cantati, secondo la retorica rispolverata anche di recente, da Dante Alighieri nella Divina Commedia: ‘si com’a Pola, presso del Carnaro/ ch’Italia chiude e suoi termini bagna”.
Ma l’impresa fiumana secondo Calasso rappresenta anche e soprattutto altro. In sintonia con la rivoluzione politica della modernità e in proseguimento con l’ideologia risorgimentale, a Fiume si tenta di istituire un “nuovo ordine”, non solo politico, ma anche e soprattutto esistenziale e morale, un ordine che, per concretizzarsi, dovrà passare attraverso la rigenerazione della nazione e dei suoi componenti”.

Significativi sono a questo proposito, il risalto dato da D’Annunzio al discorso pubblico, il motto e lo slogan, il richiamo alla massa e alla storia idealizzata dell’antica Italia, il culto dei martiri e della bandiera. Tutti dati che tratteggiano una specie di “religione civile ‘laica’”, che verranno fatti propri, prima dal fascismo, poi, in parte, dalla politica odierna, che è alla ricerca di un’identità sempre precaria.
L’impresa di Fiume.
Si pone nel magma rivoluzionario, creatosi subito dopo la Prima Guerra Mondiale (1914-1918); i due fatti più significativi sono la fine dell’Impero Austro-Ungarico e soprattutto la formazione del nuovo Stato, dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Una novità politica che influenza gran parte degli Stati europei, anche se si assume caratteristiche ideologiche diverse o opposte a quella socialcomunista, ma sicuramente ne riprendono alcuni aspetti e danno inizio alla stagione dei totalitarismi.

Certamente l’impresa fiumana è stata strumentalizzata dal fascismo, che ha visto nelle “vicende fiumane, la riscossa nazionale destinata a sfociare nella nuova Italia del Littorio”. Infatti, la cultura dominante continua a giudicarla sotto quest’aspetto. E tuttavia, “con il passare del tempo, però, questo episodio assume sempre più un connotato nuovo, che lo libera dal significato di un semplice colpo di mano nazionalista per annettere la città di Fiume al Regno d’Italia e lo classifica invece come un esperimento rivoluzionario che va oltre al totalitarismo…”.

Ma per comprendere il carattere eversivo dell’impresa fiumana, bisogna precisare che cosa s’intende per Rivoluzione, Calasso fa riferimento al grande pensatore cattolico brasiliano Plinio Correa de Oliveira. La Rivoluzione per de Oliveira, ha un’accezione negativa, intende distruggere un potere o un ordine legittimo e ne instaura uno illegittimo. L’ordine legittimo è quello che rispetta la “legge naturale, i valori tradizionali come il valore primario della vita umana dal concepimento alla morte naturale, la famiglia naturale come cellula fondamentale della società(…) la proprietà come valore sociale, la religione come valore fondante il vivere personale e comunitario”.

La Rivoluzione intende eliminare questa visione del mondo, per sostituirlo con altri elementi radicalmente opposti. “L’avventura di Fiume si presunta come un esempio anticipatore dei comportamenti politici che caratterizzeranno la società occidentale dalla conclusione del Secondo Conflitto Mondiale (1939-1945) in poi ed è un’anticipazione di quella che Correa de Oliveira chiama IV Rivoluzione, a dominante socio-culturale ovvero di tipo morale”. In pratica, i fatti di Fiume, anticipano la Rivoluzione sessantottina: “nel microcosmo che si crea a Fiume, in seguito all’occupazione da parte dei legionari capeggiati da D’Annunzio, (…) il piacere diventa prerogativa di tutti coloro che sono convenuti alla festa della rivoluzione. Godimenti senza limiti, divertimenti, libero fluire dei desideri, comportamenti disinibiti, privi di moralismo: tali sono i caratteri che di quest’esperienza collettiva, sostanzialmente liberatoria, ci tramandano cronache e memorie”.
L’avventura fiumana inizia la mattina del 12 settembre 1919, quando D’Annunzio fa il suo ingresso trionfale nella città a capo di un manipolo di granatieri, si concluderà nel dicembre 1920 con il cosiddetto ”Natale di sangue”.

“Nella Fiume dannunziana – scrive Calasso, – viene creata e sperimentata ‘per la prima volta una liturgia della politica di massa’, attraverso riti collettivi, come la celebrazione degli anniversari, le cerimonie di giuramento e le marce militari, e tramite simbologie pseudoreligiose, come il culto dei caduti e dei martiri, in una sorta di nuova religiosità laica il cui perno è il rapporto quasi magico fra il ‘capo’ e la massa, espresso soprattutto nella ‘manifestazione’, che diventa anche una festa in cui ‘(…)ogni regola di comportamento è rovesciata, l’ordine militare si converte in disciplina elastica, la rivista diventa spettacolo che coinvolge tutti in esplosioni d’allegria collettiva”.
Interessante la descrizione cha fa dell’ambiente fiumano il fondatore del futurismo, Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944).

Sostanzialmente a Fiume si sperimenta “un modo nuovo di fare politica, di stampo parareligioso, che i rituali e le cerimonie politiche degli Stati totalitari del secolo XX faranno proprio e raffineranno, facendone un potente strumento di propaganda teso alla fondazione rivoluzionaria di una nuova visione dell’uomo, in cui la religiosità tradizionale di natura trascendente viene sostituita da una totalmente rivolta all’immanente di cui la politica diviene l’artefice con l’utilizzo di una simbologia quasi sacrale…”. Pertanto, la Fiume dannunziana, appare, “come un microcosmo dove il percorso della modernità giunge rapidamente al suo apice”. Citando Mario Carli, Calasso scrive che a Fiume viene rappresentata una società rivoluzionaria dai connotati libertari e anarchici. Tuttavia si cerca di combinare individualismo e comunitarismo, “in un nuovo ordine politico-sociale, frutto di un magma ribollente di stati d’animo, di concezioni della vita plurali, di aspirazioni al cambiamento radicale dello stato di cose, che mette insieme idealismo, nazionalismo, utopia anarchica e vitalismo festaiolo”.

E’ veramente suggestiva la descrizione dell’esperienza fiumana, che viene fatta dallo storico Mario Isnenghi, intesa come una “nuova agorà”: “Fra il settembre 1919 e il dicembre 1920 si dispiegano (…) mesi di inebriante pienezza di vita durante i quali la piccola città adriatica viene strappata alla sua perifericità e vissuta e presentata – da pellegrini dell’arte, della letteratura e della politica, accorsi non solo dall’Italia – come il luogo di tutte le possibilità: il centro del mondo, la ‘città olocausta’- nel linguaggio immaginifico di D’Annunzio – alla cui fiamma si alimentano il pensiero creativo e i ‘nuovi bisogni’- individuali e collettivi, nazionali e di genere; la ‘piazza universale’ di tutti i progetti e di tutti i sogni”.

Per D’Annunzio, Fiume, diventa “la città di vita”, “una sorta di piccola ‘controsocietà’ sperimentale, con idee e valori, completamente in contrasto con la morale del tempo, disponibile alla trasgressione della norma, alla pratica di massa del ribellismo.

IL 68 FIUMANO PER ANDARE OLTRE LA RIVOLUZIONE BOLSCEVICA.

L’avventura politica di Fiume per il comandante Gabriele D’Annunzio rappresenta, “il crogiolo di una nuova fase della rivoluzione, in grado di andare oltre la rivoluzione bolscevica, per configurare un nuovo ordine sociale, che avrà la sua Magna Charta nella Carta del Carnaro”. Più esattamente, “la rivolta capeggiata da D’Annunzio era diretta contro il vecchio ordine esistente nell’Europa occidentale, e fu attuata in nome della creatività e della virilità giovanili (…)L’essenza di tale rivolta fu la liberazione della personalità umana, quella che si può chiamare la ‘radicalizzazione’ delle masse del popolo che per tanti secoli erano state sistematicamente sfruttate”.
Fiume come zona temporaneamente autonoma.

E’ piuttosto singolare la relazione che fa lo studioso cattolico Salvatore Calasso della rivoluzione fiumana con l’anarchico americano, Peter Lamborn Wilson conosciuto meglio con lo pseudonimo, Hakim Bey, nel suo “T.A.Z. Zone temporaneamente autonome”, un testo classico del pensiero cyberpunk e libertario. Bey considera l’avventura fiumana come una “zona temporaneamente autonoma, una sorta d’isola liberata dalle influenze politiche tradizionali dello Stato e del sistema capitalista in cui si sperimenta un modo nuovo di vivere, senza alcun riguardo per qualsiasi ideologia o dogma”. Sempre Bey paragona Fiume con l’insurrezione di Parigi del 1968, ma anche con le insurrezioni urbane italiane degli anni settanta, così come le comuni controculturali Americane che hanno influenzato la nuova sinistra anarchica.
Stimolante la descrizione dei sedici mesi di governo dannunziano. A Fiume si recarono tutti i più strani personaggi del tempo, buddisti, teosofisti e Vedantisti, anarchici, fuggitivi e rifugiati apolidi, artisti e riformatori d’ogni tipo. A Fiume, “la festa non finiva mai. Ogni mattina D’Annunzio leggeva poesie e proclami dal suo balcone; ogni sera un concerto, poi fuochi d’artificio. In questo consisteva l’intera attività del governo”. Calasso nel suo ben documentato lavoro pubblicato dalla rivista trimestrale Cristianità (n.361, luglio-sett. 2011) intende evidenziare i tanti fenomeni della rivoluzione fiumana molto simile a quelli poi riesplosi nel 1968. Ne elenca alcuni come “il rapporto conflittuale giovani-anziani, il radicalismo di posizioni e di comportamenti, l’uso della droga, la democratizzazione dell’esercito, l’abbandono completo ai sensi, l’importanza data alla festa e al gioco, la libertà sessuale e l’esaltazione del corpo, il mito di vivere in armonia con la natura e quello della lotta per i popoli oppressi, il rifiuto della famiglia e la sperimentazione della vita in comune”. Come si può notare sono elementi che peraltro troviamo nella nostra società attuale postmoderna, figlia del sessantotto.

L’ideologia fiumana.
Nella “città olocausta”, edonismo ed estetismo s’incontravano e si fondevano, lo stesso per vita e sogno, realtà e rappresentazione. Qualcuno dichiarò che a Fiume il clima di vita era orgiastico. I “legionari” dannunziani “vissero davvero una vita irreale, inimitabile, fuori dal comune, sospesa in una sorta di eterno presente senza passato né futuro”. Frequentando i Navigli milanesi a volte mi sembra di trovarmi nella Fiume dannunziana.
Si può parlare di un’ideologia fiumana? A Fiume si è visto prendere corpo quelle naturali inclinazioni giovanili che portano a un volontarismo irregolare .

  I veri protagonisti di Fiume sono i giovani, che lo storico Renzo De Felice chiama “scalmanati”. Non sono solo italiani, arrivano da tutto il mondo, una presenza decisamente cosmopolita. Tra gli uomini vicini al Vate, con incarichi non secondari, troviamo nomi esotici dell’ala anticonformista, inquieta e ribelle del fiumanesimo: Leon Kochnitzky, Henry Furst, Ludovico Toeplitz, Guido Keller, gli scrittori Mario Carli e Giovanni Comisso. Sono i veri protagonisti dell’impresa fiumana, quelli che aspiravano a un nuovo ordine politico-sociale, e che forse in quel momento non hanno saputo definire concretamente.

Successivamente però quando si ritroveranno di fronte il fascismo, quasi tutti questi legionari si schiereranno contro. Infatti per loro fu difficile il reinserimento nella società di allora, “in un sistema di valori e di regole diversi da quelli che la guerra li aveva abituati”. Molti di loro si ritrovarono a criticare il sistema sociale e politico dell’epoca. Anche se, l’esperienza fiumana assume “i connotati rivoluzionari più avanzati dell’epoca, espressi in un magma ideologico, apparentemente contradditorio, ma rilevante l’utopia di assemblare in un ordine nuovo l’idealismo nazionalista, che si muoveva lungo le direttrici della tradizione democratico-rivoluzionaria del Risorgimento, con l’anarco-sindacalismo e il futurismo”.

La Carta del Carnaro.
Per comprendere l’ideologia magmatica del fiumanesimo dobbiamo rileggere gli articoli della Carta. Guardando alla causa dei popoli oppressi e alla loro liberazione, i teorici del fiumanesimo sono alla ricerca di un’alleanza in chiave rivoluzionaria con la sinistra massimalista ed estrema, in quel momento rappresentata dal nascente movimento comunista, e con la Russia dei Soviet.
A questo proposito scrive Carli: “Il soviet è un prodotto così ragionevole e così utile dei nuovi tempi, ed è già così diffuso, sotto la forma sindacale, negli ambienti amministrativi e industriali, che non si capisce perché non debba entrare senz’altro nella vita politica e militare (…) Indiscutibilmente Fiume e Mosca sono due rive luminose. Bisogna al più presto, gettare un ponte fra queste due rive”. E’ una politica che prende piede quando D’Annunzio nomina a capo di gabinetto del Comando Fiumano Alceste De Ambris, figura carismatica proveniente dalle file del sindacalismo rivoluzionario d’ispirazione mazziniana.

Con la scelta di De Ambris, D’Annunzio imprime all’impresa di Fiume, una svolta fondamentale di tipo “più marcatamente ‘rivoluzionario’”. Se il comandante D’Annnunzio, a causa di tendenze contrastanti, sbandava di qua e di là, il De Ambris, invece, aveva uno scopo preciso quello di attuare a Fiume un ordinamento sindacalista. Forse era un programma utopistico, ma De Ambris insisteva voleva “Fare di Fiume, con la sua Costituzione corporativa, una prima cellula modello, un nucleo di cristallizzazione intorno al quale si sarebbe dovuta organizzare l’Italia tutta”.
Gli articoli della Carta riprendono il linguaggio degli antichi statuti comunali e corporativi, ma ce ne sono alcuni nuovi come la credenza religiosa che non ha nulla a che fare con la religiosità tradizionale, si privilegia il lavoro come divinità, visto misticamente come elemento capace di creare bellezza. Per Calasso nella Carta s’intravede oltre alla liberazione dalla fatica del lavoro, “l’affrancamento da ogni legge morale oggettiva, vista come un limite alla libertà soggettiva”. Inoltre si può notare, un concetto giuridico, che avrà tanta fortuna nei nostri giorni: “le libertà umane possono sempre allargarsi e, forse, ne possano emergere delle nuove e che lo Stato deve, se i cittadini lo ritengono opportuno, accettarle e sancirne il riconoscimento”.

Per Calasso avviene la codificazione di una concezione libertaria dei diritti dell’uomo, secondo la quale un diritto è tale quando il soggetto ha la possibilità e la capacità di scegliere se attuarlo o meno, e lo Stato deve garantire questa ‘libertà’”. Di conseguenza, “i soggetti come il feto, o le persone con gravi menomazioni, o in fase terminale, non possono avere diritti poiché sono incapaci di esercitare delle scelte e di manifestare la propria libertà”.

 

IL MELTING POT FIUMANO TRA RIBELLISMO E TRASGRESSIONE.

Il Futurismo. Al di là del comunismo.
Prima della “Carta del Carnaro”, sul giornale dei legionari, La testa di ferro, fu pubblicato un manifesto di Filippo Tommaso Marinetti dal titolo eloquente e significativo, Al di là del comunismo.

In questo testo Marinetti pone il futurismo oltre l’esperienza socialcomunista, prospettando una nuova politica, che anticipa temi e prospettive che ritroveremo nei movimenti sessantottini. Vale la pena citare qualche passaggio, che troviamo citato nell’interessantissimo studio di Salvatore Calasso pubblicato qualche anno fa dalla rivista trimestrale Cristianità: “Vogliamo liberare l’Italia dal papato, dalla monarchia, dal Senato, dal matrimonio, dal Parlamento. Vogliamo un governo tecnico senza parlamento, vivificato da un consiglio o eccitatorio di giovanissimi…”. Sia il futurismo di Marinetti che l’esperienza fiumana si pongono al di là del socialcomunismo. Marinetti propone, “all’umanità come unica soluzione del problema universale: l’Arte e gli Artisti rivoluzionari al potere”. L’Arte come nutrimento ideale, dovrebbe prendere il posto delle religioni. Per Salvatore Calasso nel suo si tratta di “un’utopia estetizzante in cui l’arte assume una funzione stupefacente e nutritiva, come l’alcol”.
Lo scopo dell’alcol dovrebbe essere quello di “ingigantire la facoltà sognatrice del popolo e di educarla in un senso assolutamente pratico”. In pratica, “il soddisfacimento d’ogni bisogno dà un piacere”.
Fra le arti un ruolo fondamentale è riconosciuto alla musica. Sia la costituzione fiumana che il manifesto marinettiano prospettano alla musica lo stesso ruolo sociale. “La musica regnerà nel mondo – si legge nel manifesto – Ogni piazza avrà la sua grande orchestra strumentale e vocale. Vi saranno così, dovunque, fontane di armonia che ogni giorno e notte zampilleranno dal genio musicale (…) Invece del lavoro notturno, avremo l’arte notturna. Si alterneranno le squadre dei musicisti, per centuplicare lo splendore dei giorni e la soavità delle notti”.

Nella Fiume di D’Annunzio viene compreso il ruolo sociale e rivoluzionario della musica, il teatro Verdi diventa ben presto un luogo di forte attrattiva per i legionari. Ai legionari, secondo Calasso, forse, manca una musica comune che ne esprime gli ideali, ma questo secondo lo studioso cattolico, “verrà realizzato pochi anni dopo, con l’esplosione del jazz e in seguito, nel secondo dopoguerra, si consoliderà con la nascita e l’affermazione del rock’n’roll…”.
Il melting pot fiumano.
Sotto il governo dannunziano Fiume diventa il rifugio di personaggi delle più svariate appartenenze politiche. Sono presenti, “nazionalisti e internazionalisti, monarchici e repubblicani, conservatori e sindacalisti, clericali e anarchici, imperialisti e comunisti”. Con questa concentrazione di gente, la città di Fiume diventa un vero melting pot culturale, che porta al prevalere della “pratica di massa del ribellismo e della trasgressione”. Praticamente, “s’istituisce uno stile di vita capace di coniugare l’individualismo più esasperato con il cameratismo più spinto, che porta al superamento di ogni limite morale. Questa concentrazione spaziale di gruppi umani diversissimi – per Calasso – favorisce la degenerazione dei costumi che si manifesta con la libertà sessuale, con l’uso libero della droga e con la pratica dell’omosessualità”.

Sostanzialmente a Fiume si instaura un clima festaiolo, che, “è il risultato di una concezione di vita in cui si dà libero sfogo al desiderio, trasformando ogni momento dell’esistenza in godimento. Questo rovesciamento delle regole, che porta a uno stato di perenne vacanza, nasce dall’onda lunga delle trasformazioni rivoluzionarie, avvenute nella Prima Guerra Mondiale, che inaugura modificazioni radicali nella concezione dell’uomo e della vita, capaci di trasformare i costumi tradizionali dell’Europa, aventi le loro radici nella concezione cristiana, in nuove abitudini diametralmente opposte”. Mi pare che si possa dire che nella Fiume dannunziana c’è un clima da “Notte Bianca” perenne.
Un baccanale sfrenato.
A Fiume i giovani, appena usciti dalla guerra, trovano la possibilità di vivere in un clima di sovreccitazione continua, di vivere l’immediato, di sperimentare forme di vita nuova, rivoluzionaria, libera dalla schiavitù del lavoro. Illuminante la descrizione che ne fa Leone Kochnitzky nel suo libro: “Mai scorderò la festa di San Vito, patrono di Fiume (…) si danzava dappertutto; in piazza, ai crocevia, sul molo; di giorno, di notte, sempre si ballava, si cantava: né era la mollezza voluttuosa delle barcarole veneziane; piuttosto un baccanale sfrenato. Sul ritmo delle fanfare marziali si vedevano turbinare, in scapigliati allacciamenti, soldati, marinai, donne, cittadini, ritrovanti la triplice diversità delle coppie primitive che Aristofane vantò”. Naturalmente in questo clima, la droga circola liberamente fra gli occupanti, è probabile che proprio qui il comandante D’Annunzio contrae il vizio di sniffare cocaina.

Del resto riporta Comisso, era noto che gli aviatori italiani, nei loro voli senza fine, sniffavano cocaina, ma anche i giovani legionari ne facevano ampio uso, insieme alla diffusione di costumi sessuali sregolati. D’altronde la stessa vita del comandante D’Annunzio era caratterizzata dall’”esaltazione del piacere come privilegio superomistico”, come abbiamo visto presentando il volume di Giordano Bruno Guerri, “La mia vita carnale”. “In D’Annunzio l’esteta unisce il culto della forza a quello della bellezza, trasformando la vita in un’opera d’arte”.

Pertanto secondo Calasso, “l’impresa fiumana, è il capolavoro dannunziano. Qui l’artista diviene in grado di progettare un nuovo modello di società attraverso la manipolazione culturale e la creazione di nuovi stili di vita”. A Fiume, “il piacere diventa prerogativa di tutti coloro che sono convenuti alla festa della rivoluzione”. In pratica in quel “microcosmo affollato della Fiume occupata maturano rapidamente le condizioni per attuare una nuova idea dei rapporti sessuali, improntati alla più ampia licenza”. Calasso insiste nella descrizione, utilizzando ancora il testo della storica Claudia Salaris: “gli amori furono senza limiti: la città fu affettivamente italianizzata nel sangue (…) le donne si disputavano l’italiano (…) Nel disordine degli amori le malattie serpeggiavano diffondendosi”.

Nella relazione del Ministero degli Interni si parla di vita libertina: “Non vi è ufficiale a Fiume e neppure legionario che non abbia un’amante fra le povere fiumane ormai perdute in un’atmosfera di immoralità”. Dunque Fiume rappresenta per i militari italiani, “l’Eden terrestre, l’eldorado di tutti i piaceri”, “il paese della cuccagna”. A Fiume non solo i rapporti eterosessuali sono liberi, ma anche quelli omosessuali, sono vissuti alla luce del sole.

A Fiume i futuristi sperimentarono le loro idee innovative, molto care al mondo poliforme della sinistra antagonista, in particolare quello di annullare la famiglia. Praticamente elementi del futurismo si coniugano con quelli del municipalismo libertario, della sinistra antagonista come si può notare con i giudizi che dà Franco Piperno, ex leader di Autonomia Operaia, sull’idea di città collettiva.
Fiume diventa un mito dei rivoluzionari radicali.
In conclusione, cosa rappresenta l’esperienza fiumana, lo scrive bene, la Salaris: “La vita-festa è tipica soprattutto delle ribellioni caratterizzate dalla transitorietà, nate non per durare, ma per tracciare un segno, indicare una via, comete effimere destinate però a rimanere nella memoria collettiva e a incidere anche dopo la conclusione della loro parabola”. Per Calasso questa affermazione della studiosa romana è un “involontario commento a una delle caratteristiche del processo rivoluzionario descritto da Correa de Oliveira, quello delle due velocità”.
Infatti l’esperienza di Fiume si può qualificare come un’accelerazione, rispetto all’affermazione della rivoluzione comunista, è andata troppo avanti, per questo è fallita. Ma “l’esplosione di questi estremismi – scrive il professor Plinio – alza una bandiera, crea un punto di attrazione fisso che affascina per il suo stesso radicalismo i moderati e verso cui questi cominciano lentamente a incamminarsi. Così, il socialismo rifiuta il comunismo, ma lo ammira in silenzio e tende a esso”.

E’ successo con la Comune parigina del comunista Babeuf, con il moto anabattista di Munster, sono rivoluzioni che avanzano troppo veloci, per questo vengono schiacciati. Ma poi lentamente la società percorre la via tracciata da questi estremisti. Pertanto scrive De Oliveira, “il fallimento degli estremismi è, dunque, soltanto apparente. Essi collaborano indirettamente, ma potentemente, con la Rivoluzione, attirando lentamente verso la realizzazione dei loro colpevoli ed esasperati vaneggiamenti la moltitudine innumerevole dei ‘perdenti’, dei ‘moderati’ e dei mediocri”.
L’impresa fiumana come avanguardia culturale verrà fermata, dall’affermazione del fascismo, ma non sconfitta, gli elementi fiumani del mondo nuovo, continueranno ad operare fino ad esplodere definitivamente nella Rivoluzione culturale del 68.

 

S. Teresa di Riva ME 6 agosto 2015
Trasfigurazione del Signore                                              Domenico Bonvegna
                                                                                                    domenico_bonvegna@libero.it

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