IL VIRUS SPAZZERA’ VIA LA “GAIA DISPERAZIONE” DELL’UOMO SENZA DIO..

LA STORIA DELLA “GAIA DISPERAZIONE” DELL’UOMO SENZA DIO. Questa analisi filosofica, antropologica sociologica e storica di Giovanni Fighera è molto utile soprattutto oggi che il mondo è costretto a modificare tutto dopo il letale virus che lo ha colpito…

L’uomo contemporaneo sta vivendo una crisi spirituale ben più profonda di quella economica. Gli ultimi Papi, a cominciare dal Papa emerito Benedetto XVI, e poi da Papa Francesco hanno sempre sostenuto che la crisi economica è il risultato di una crisi antropologica.

Papa Francesco ammonisce che la crisi, “non è solo economica e finanziaria, ma affonda le radici in una crisi etica e antropologica” che mette “gli idoli del potere, del profitto, del denaro, al di sopra del valore della persona umana”, dimenticando che “al di sopra degli affari, della logica e dei parametri di mercato, c’è l’essere umano” che, per la sua dignità deve poter “vivere dignitosamente”.

L’uomo contemporaneo è immerso in un dramma tragicomico che lo sta portando alla solitudine e quindi alla morte. Il malessere dell’uomo contemporaneo viene da lontano. Si può certamente individuare un vero e proprio percorso, un processo storico, che si è sviluppato nei secoli, attraverso le varie epoche storiche. Ci sono stati uomini di pensiero che ne hanno studiato i processi di disgregazione esistenziale sia degli uomini, che delle società, in particolare la nostra civiltà occidentale.

Ho presente l’ottimo studio del pensatore brasiliano Plinio Correa de Oliveira, “Rivoluzione e Controrivoluzione”, un testo a cui si sono formate intere generazioni e associazioni come Alleanza Cattolica. In questi giorni ho letto un libro interessante e credo di non esagerare, assomiglia molto a quello del professor Plinio, almeno per quanto riguarda la seconda parte.

Il libro è scritto da Giovanni Fighera, un giovane professore di italiano e latino, il titolo è originale: “Che cos’è mai l’uomo, perché di lui ti ricordi?”. Sottotitolo: “L’io, la crisi, la speranza”, pubblicato qualche anno fa dalle gloriose Edizioni Ares di Milano. Il testo è presentato da Giovanni Reale e Gianfranco Lauretano.
Il professore Reale riesce nelle poche pagine a fare un’ottima sintesi del libro. Il testo di Fighera analizza i fondamenti che hanno prodotto la crisi della modernità e gli sviluppi prodotti che si possono vedere nella nostra epoca: “la libertà sciolta dai valori e dalla verità, la parcellizzazione del sapere, il relativismo, l’ideologia scientistico-tecnicistica”. Fighera fa una rapida incursione nel territorio della letteratura, della filosofia, della cultura, e degli avvenimenti storici e attraverso poeti, letterati, filosofi ed eroi, condottieri che dimostra di conoscere molto bene. In questo “viaggio”, Fighera cerca di provare una questione fondamentale: “senza il Mistero, il mondo è più piccolo e assurdo, soprattutto la parte più interessante del mondo, cioè l’io, la persona”.
La crisi attuale che sta attraversando l’uomo contemporaneo “è diversa dalle altre – scrive il professore Reale, citando un libro dal titolo significativo: “L’epoca delle passioni tristi” – a cui l’Occidente ha saputo adattarsi: si tratta di una crisi dei fondamenti stessi della nostra civiltà”.

Pertanto, “dopo aver abbandonato la fede nell’Al di là, l’uomo ha perso o comunque sta perdendo anche la fiducia nel progresso nell’al di qua, e si trova, quindi, in una situazione drammatica, in quanto non sa più in che cosa credere”. Infatti possiamo costatare che “l’uomo è colpito da mali dell’anima e da depressioni spirituali, che nella storia non si erano mai verificati. E sono mali che la scienza e la tecnica son ben lontani dal poter curare”. Fighera mette in luce la “fuga dalla realtà” dell’uomo d’oggi, cercando di liberarsi dai suoi mali. Infatti questo mondo una volta che si è privato del senso del Mistero, di Dio, non sa affrontare la realtà quotidiana della vita e allora cerca di evadere in mondi illusori, fittizi, virtuali.
Il percorso preciso e documentato di Giovanni Fighera, parte dal “disagio dell’io”, la situazione di incertezza esistenziale che l’uomo vive all’alba del terzo millennio. “Spenti tutti i lanternoni del passato, l’epoca contemporanea assiste all’accensione di un nuovo lanternone culturale che nega l’esistenza di qualsiasi verità assoluta, privilegia una finta tolleranza in nome di un presunto multiculturalismo, si rivolge all’esperto in ogni campo, una volta che tutte le figure di riferimento del passato sono cadute(…)”.

Inoltre, “spenta la lanterna della verità assoluta, l’uomo vive una stagione di apparente leggerezza che è come il sipario dietro cui si cela una ‘gaia disperazione’ di un uomo senza Dio”. Tuttavia nell’uomo contemporaneo, traspare un misto di leggerezza e debolezza, addirittura si ha la percezione di vivere la realtà come un carcere.
Fighera per descrivere questo mondo utilizza citazioni ed esempi tratti dalla storia dell’arte e del pensiero, soffermandosi in particolare su tre artisti: Pirandello, Van Gogh, Munch, che per certi versi, “anticipano in diverse arti quella percezione di crisi dell’uomo che caratterizzerà gran parte dei decenni successivi. Un uomo che è inerte, angosciato o addirittura paralizzato”.

Siamo introdotti al tema centrale del libro, secondo Lauretano: “il dramma della solitudine contemporanea. L’uomo ha sì desiderio di comunicare, ma avendo negato a se stesso ogni verità, che cosa c’è più da dire?”. Tanti artisti, poeti, documentano questa difficoltà o impossibilità di raggiungere la verità. Tuttavia, “se non c’è una verità o essa non è da noi conoscibile, non è possibile una reale comunicazione tra gli uomini”. Pertanto, “quando la verità è negata alle radici, ognuno continua a camminare nel proprio tunnel di vetro trasparente in cui potrà vedere gli altri, senza, però, entrare realmente in contatto con loro”.
Il testo di Fighera è suddiviso in quattro parti, nella prima, descrive il percorso dettagliato di come si sia formato un tipo antropologico come quello di oggi.

Un uomo solo senz’anima, sempre più cattivo, vicino agli animali. Un uomo ridotto ad essere un mezzo della produzione e i suoi desideri ridotti al piacere. Questo appiattimento “sul possesso e sul piacere portano a un distacco dall’amore alla vita e a sé, fino al revival ‘neomalthusiano’ di pratiche contrarie alla vita, in nome, guarda caso, ancora della libertà e della salute. Menzogne come l’ideologia darwinista, spacciata dalla scuola in maniera indiscutibile quando è stata confutata persino dalla scienza, dimostrano come il vero scopo dell’imposizione di una certa mentalità – infiltratasi purtroppo persino nella maggioranza dei percorsi educativi – non sia affatto lo sviluppo dell’uomo e della cultura umanistica; persino l’ecologia è utilizzata per un secondo fine”.

Di questi temi ne so qualcosa, essendo insegnante di scuola primaria, vedo tutti i giorni i manuali scolastici che presentano l’uomo come una scimmia un po’ più evoluta. Ho presente quei sussidiari con l’immagine della scimmia che a poco a poco “avanza verso la stazione eretta”. Naturalmente chi scrive questi manuali scolastici non sa, oppure se ne infischia di quello che hanno scritto autorevoli paleontologi o biologi come Stephen Jay Gould.
Per quanto riguarda il rispetto dell’ambiente e del risparmio energetico è giusto che i bambini, i ragazzini vengano educati a questi valori, purtroppo spesso secondo Fighera passa il messaggio catastrofista come il film “l’undicesima ora” che trasmette una visione del mondo malthusiana, ostile alla cultura cristiana e alla visione antropologica biblica. “La difesa dell’ambiente è solo un pretesto per sferrare un attacco alla tradizione occidentale e al progresso”.
Per il momento mi fermo, riprendo soffermandomi sulla seconda parte del testo ben scritto dal professore Fighera. Il professore ha una capacità straordinaria, quella di saper scrivere e soprattutto sintetizzare, non è la prima volta, ricordo l’altro pregevole volumetto, “La bellezza salverà il mondo”, uno dei più bei libri che ho letto.

DAGLI EROI DELL’ANTICHITA’ AI CAVALIERI MEDIEVALI.

Prima di passare alla seconda parte del volume di Giovanni Fighera, è bene considerare i nuovi miti che si son imposti nella nostra epoca postmoderna. Mi riferisco a quello tecnologico delle macchine e della falsa facilità di accesso ai servizi e di comunicazione immediata (internet, facebook, twetter).

Il professore Reale nella prefazione scrive: “la grandezza dell’uomo consiste non nel fare tutto ciò che si può fare, ma nella giusta scelta di ciò che si deve fare, e quindi nel non fare molte cose che di per sé, con le nuove tecnologie, si potrebbero fare”. Ma per fare questo deve saper contestare l’idolo tecnologico e quello dello scientismo. A questo proposito Nicolas Gomez Davila nei suoi aforismi scrive: “L’uomo finirà per distruggersi, se non rinuncerà all’ambizione di realizzare tutto quello che può”. Il matrimonio tra la scienza e la tecnica è diventato un’autorità in apparenza indiscutibile e assoluta, autonoma. Subentra il mito della macchina, che meccanizza la vita. Pertanto, “Tutto l’ingegno dell’uomo è stato messo al servizio della creazione di quei ‘mostri’(nel senso etimologico del termine, cioè ‘prodigi o cose sorprendenti’), che dovevano essere i nostri strumenti, mentre sono finiti per diventare i nostri padroni” .Quindi secondo Fighera, “in maniera drammatica, quando viene a mancare l’io, trionfa la stupidità della macchina”.

Interessanti le riflessioni di Fighera in merito alla difficoltà che l’uomo contemporaneo ha di comunicare in maniera autentica. Infatti secondo Fighera,“la perdita della parola è, in un certo senso, il rischio che corre un uomo che sempre utilizza degli strumenti di comunicazione che non hanno lo stesso calore della viva parola. Quando l’uomo dimentica che i mezzi sono solo modalità di comunicazioni utili in talune circostanze, li trasforma nella propria voce”. E qui chiaramente Fighera si riferisce ai rischi del mondo di internet. Sull’argomento sono interessanti le raccomandazioni del papa emerito Benedetto XVI, su come utilizzare gli elementi digitali.

Naturalmente il problema non è lo strumento in sé, che può favorire la diffusione della buona novella e del Regno di Dio, ma la coscienza che ha l’uomo di se stesso.
Nella seconda parte del testo, “La coscienza dell’uomo del passato”, il professore Fighera, offre una interessante sintesi del processo di disgregazione dell’uomo e della cosiddetta società occidentale, tralasciando volutamente le altre civiltà. Fighera parte dell’antichità, perlustrando la cultura ebraica e poi quella greca. Si sofferma sulla nozione di “cuore” presente nella Bibbia che non è solo vita affettiva, ma una realtà più ampia, che include tutte le forme della vita intellettiva.

“Nel Nuovo Testamento –scrive Fighera – Gesù sottolineerà la necessità di purificare il cuore, cioè di renderlo puro, perché aspiri alla giustizia, al bene, all’amore di Dio e del prossimo. Infatti, proprio in questa aspirazione dell’uomo all’amore e al bene, in questa esigenza di felicità e di compimento risiedono la somiglianza dell’uomo con Dio e la sua aspirazione inesausta al Creatore”. Per molti secoli, gli ebrei hanno creduto che non esistesse dopo la morte un premio per i giusti e un castigo per gli empi, perché tutti finiscono nell’Ade o Inferi o Sheol. Col tempo, questa visione è mutata e inizia a farsi largo nella religiosità ebraica, la convinzione che l’anima sopravvive al corpo e che vi sia un destino diverso per i giusti e per gli empi.
Accanto alla cultura ebraica, c’è quella greca che ha un ruolo determinante nell’evoluzione della coscienza dell’uomo. Infatti, “la filosofia e l’arte greca occupano uno spazio di prim’ordine per la crescita della cultura occidentale successiva”. Peraltro, la filosofia, è considerata dalla quasi totalità degli studiosi “una creazione propria del genio dei greci”. Tuttavia, “proprio grazie alla filosofia la civiltà occidentale prese una ‘direzione completamente differente rispetto a quella orientale” e gli orientali, allorchè vollero beneficiare della scienza occidentale e dei suoi risultati, hanno dovuto far proprie alcune categorie della logica occidentale”. Per certi versi è stata proprio la filosofia a far nascere la scienza, a generarla. Infatti in certe culture la scienza viene soffocata, vedi mondo islamico.

Oltre alla filosofia, altra gemma greca è l’arte, che segnerà un cammino indelebile nel cammino della cultura mondiale. Fighera fa riferimento ai Poemi omerici, ai suoi eroi, in particolare Ulisse, alla nascita per la prima volta nel mondo occidentale dell’anima, alla sua fondamentale importanza, “la coscienza pensante e operante”, “con l’io consapevole”, “con la personalità intellettuale e morale”. L’anima per la prima volta, appare nettamente distinta dal corpo. Platone affermerà che il destino differente per le anime dei malvagi e per quelle dei giusti, successivamente con Aristotele sarà superata l’antitesi platonica tra anima e corpo. In pratica con i tre filosofi, Socrate, Platone e Aristotele, la Grecia matura una coscienza nuova dell’uomo.

Ci stiamo avvicinando al cristianesimo scrive Fighera, quando il Logos si rivelerà assumendo un volto umano. Insieme a questa idea di uomo in Grecia si svilupperà un’arte che non si era mai vista e un ideale educativo, ispirato alla “Kalokagathia, cioè alla bellezza esteriore e alla nobiltà d’animo, alla formazione della mente combinata con l’esercizio fisico”. Nell’eroe greco scopriamo la bellezza esteriore mischiata a quella interiore.

Dai filosofi greci passiamo alla cultura romana, si compie con la mediazione dei circoli culturali come quello degli Scipioni e a figure come Cicerone che porterà a Roma parte della saggezza greca con le sue sterminate opere. Il professore Fighera evidenzia la figura di Enea, quello che incarna più di ogni altro la tradizione romana. Virgilio scelse il pio Enea, devoto alla famiglia, alla patria, alla civitas. Infatti, Enea “si differenzia dagli altri eroi romani perché cerca la risoluzione non con la guerra, ma dapprima attraverso vie alternative, più diplomatiche e ragionevoli”. In Enea secondo il professore Fighera, “si compenetrano il senso dell’appartenenza a una collettività e la responsabilità per la missione affidategli dagli dei, quella di ricostruire la patria distrutta dai greci(…) Rappresenta l’ideale di uomo romano, dedito allo Stato e alla patria, non proteso su stesso, ma disposto ad abbandonare tutto per la realizzazione di Roma, di un grande Impero(…)”.

Fighera conclude il capitolo accennando alla figura del martire, he è un testimone del messaggio di salvezza, della morte e della resurrezione di Cristo. Dal primo martire Stefano, agli Apostoli, fino alle migliaia di martiri dei nostri decenni che continuano a testimoniare la professione di fede fino alla morte. Il capitolo successivo è dedicato al Medioevo. Dal martire al cavaliere. Naturalmente qui occorre sfatare il pregiudizio storico sui cosiddetti “secoli bui”. “Tanta letteratura successiva al Medioevo – scrive Fighera – ha diffuso lo stereotipo secondo il quale nell’epoca medievale l’uomo fosse in secondo piano, schiacciato e oppresso dalla divinità e solo il Rinascimento avrebbe scoperto il valore centrale dell’uomo, lo avrebbe riposizionato al centro del cosmo”.

A sfatare questo pregiudizio ci pensa però santa Ildegarda di O. Bingen, dove in una miniatura, compare la figura di un uomo circondato da Dio con il sua abbraccio misericordioso. La miniatura assomiglia all’uomo vitruviano realizzato da Leonardo da Vinci, però qui Dio scompare.

 

S. Tersa di Riva ME, 10 luglio 2015
S. Felicita, S. Vittoria.                                    Domenico Bonvegna
                                                                        domenico_bonvegna@libero.it

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