IL PATRIMONIO ARTISTICO CULTURALE STORICO E AMBIENTALE SALVERA’ IL NOSTRO PAESE.

LA BELLEZZA  SALVERA’ IL NOSTRO PAESE.

In questi anni di crisi economica abbiamo ascoltato e letto ricette più o meno valide per far ripartire il Paese-Italia. Non sono un esperto di economia o di lavoro, però forse una soluzione c’è per far ripartire l’economia e quindi l’occupazione magari giovanile del nostro Paese.

Credo di averla trovata leggendo due interessanti testi scritti qualche anno fa, il primo: “Per un’Italia possibile”, attenzione al sottotitolo: “La cultura salverà il nostro Paese?”, l’ha scritto, Ilaria Borletti Buitoni, presidente del FAI (Fondo Ambiente Italiano), Mondadori(2012). Il secondo, forse più conosciuto, perché scritto a quattro mani da Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, autori de La Casta, “Vandali. L’assalto alle bellezze d’Italia”, Rizzoli(2011). In pratica il turismo culturale artistico-storico e naturalistico, attento all’ambiente potrebbe essere una risorsa formidabile per il nostro Paese.
“Ci sarà una via d’uscita? Dalla crisi economica, ma non solo: da una crisi morale, che stringe questo nostro Paese contagiandolo come una malattia e provocando in molti cittadini smarrimento, preoccupazione e anche senso di tristezza, un malessere costante”. E’ la domanda che in questi mesi molti italiani si saranno certamente fatta, scrive la Borletti Buitoni. In poche pagine la studiosa tenta alcuni suggerimenti precisi e attuabili, che potrebbero consentire quel cambiamento necessario e favorire la tanta auspicata crescita, soprattutto in quelle regioni che hanno perso la loro vocazione produttiva valorizzando la potenzialità turistica. La presidentessa del Fai fa una premessa elementare: “quando a una famiglia che ha perso quasi tutto rimane solo la casa, deve cercare di mantenerla al meglio, perché se l’abbandona, lasciandola cadere a pezzi, alla fine non rimarrà nulla da cui ripartire. Lo stesso ragionamento vale per il nostro paesaggio, per il nostro patrimonio d’arte e di natura: la casa degli italiani, dalla quale ripartire per ritrovare non solo un senso della propria identità e forse anche l’orgoglio di un’appartenenza, ma anche la strada verso un nuovo modello di sviluppo più radicato sul territorio e che tenga conto dell’ambiente”.
Per fare questo naturalmente occorre che tutti, dalle istituzioni ai cittadini, convergono verso un obbiettivo comune condiviso: “preservare prima di valorizzare perché la promozione del nostro patrimonio culturale è incompatibile con l’incuria e la devastazione, una strada che si è perseguita negli ultimi vent’anni in buona parte del Paese”.

La situazione in cui si trova il nostro patrimonio storico, monumentale e ambientale è disastrosa. “Abbiamo trascurato per decenni i segni della nostra identità, – scrive la Borletti Buitoni – quella che per secoli il mondo ci ha riconosciuto e ha ammirato, si è rivelata una scelta sbagliata non solo per le limitazioni che ha imposto allo sviluppo di un turismo adatto al nostro Paese, ma anche soprattutto perché ha annientato qualsiasi sentimento di orgoglio nazionale del quale, oggi, in una crisi senza precedenti nella vita della mia generazione e di quelle successive, avremmo più che mai bisogno”.

Peraltro la colpa di queste mancanze non si possono attribuire soltanto alla crisi economica, alla globalizzazione o ai giochi speculativi della finanza, ma ci sono responsabilità nostre.
Il libro sottolinea il vizio tipico degli italiani, quello di dare la colpa sempre agli altri. E’ una costante il rimbalzo delle responsabilità per i problemi e per le continue emergenze che colpiscono il nostro territorio. Un altro vizio che l’autrice del libro sottolinea è l’accentuato individualismo degli italiani, siamo un popolo emotivo e solidale, ma troppo spesso, disattento al bene comune, nonostante il gran numero di volontari impegnati nelle varie cause sociali. Purtroppo la maggioranza degli italiani, magari è generosa per quanto riguarda certi appelli umanitari, “ma non si scandalizza se il comune patrimonio culturale viene costantemente assalito da azioni che lo danneggiano in modo irreversibile”.

Pertanto secondo il presidente del Fai non è solo colpa dello Stato del degrado del nostro patrimonio culturale e ambientale, ma anche dei cittadini che non hanno una percezione del paesaggio come bene collettivo.

Così i crolli di Pompei, simbolicamente investono, non solo i beni archeologici e monumentali ma l’intera penisola, rappresentano certamente la nostra decadenza.
Come presidente della Fai, la Borletti Buitoni ha attraversato l’Italia e qui nel testo riporta ampia documentazione di come da Nord a Sud negli ultimi venticinque anni il paesaggio del nostro Paese è stato saccheggiato più di ogni altro stato occidentale.
Il paesaggio costituisce la nostra identità, la nostra anima, il segno concreto di chi e che cosa siamo.
Pertanto, scrive la studiosa, “(…) l’eccezionalità del paesaggio italiano e in un certo senso la sua unicità risiedono nel fatto che esso costituisce l’espressione di una storia millenaria assolutamente unica dovuta alla posizione geografica, alla natura e all’unione di popoli diversi: una storia difficilmente replicabile altrove”. Continua la Borletti Buitoni, “l’Italia offre peraltro un incredibile incrocio tra cultura e piacere (…)Potremmo affascinare qualsiasi persona approdi nel nostro Paese e invece, tra inefficienza, indolenza e furberie di ogni tipo, preferiamo suscitare solo un sentimento di irritazione che fa esclamare ai turisti, come fece Goethe approdato a Napoli e sconcertato dalle urla della strada: ‘gli italiani, impossibili!”

Il libro fa alcuni esempi di incuria e di degrado, presenti in ogni parte del Paese, costruire nelle vicinanze di una villa romana, o una discarica a Tivoli vicino la Villa Adriana, lasciare un sito archeologico in stato di abbandono come Selinunte, assediare con modesti grattacieli la Valle dei Templi di Agrigento.
Qualcuno sostiene pure che ci sono troppi siti archeologici, un numero elevatissimo di chiese, troppi musei, castelli, palazzi, borghi, parchi e tutti da proteggere. Forse occorre scegliere, ma si è scelto? Si chiede il presidente della Fai.
“Si è mai ragionato sul fatto che lo sviluppo del Paese sarebbe potuto partire proprio dalla valorizzazione di questo incalcolabile patrimonio? Non lo si è fatto: anzi, sin dal dopoguerra è stato opposto il concetto di crescita a quello della tutela, come se l’una non potesse esistere se non a discapito dell’altra”. Purtroppo anche negli ambienti della cultura si è smesso di pensare al bello, perfino la stessa Chiesa cattolica, basti osservare certe chiese del postconcilio Vaticano II.

Anni fa ho recensito un ottimo libro, “La bellezza salverà il mondo”, di Giovanni Fighera, pubblicato da Ares di Milano. Un libro coraggioso, che interroga la tradizione per testimoniarla nel nostro tempo. Il libro di Fighera perlustra il Bello, senza pregiudizi, utilizzando come bussola la tradizione occidentale (classica, cristiana…).Il testo inoltre intende anche approntare un’educazione all’estetica dopo l’imperversare per troppi anni della furia iconoclasta della bruttezza.

 

L’ASSALTO ALLE BELLEZZE D’ITALIA.

Il merito di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo in “Vandali. L’assalto alle bellezze d’Italia”, Rizzoli (2011) è quello di aver descritto capitolo dopo capitolo il degrado e il perenne saccheggio del nostro immenso patrimonio artistico e culturale presente nel nostro territorio.

I due giornalisti d’inchiesta così come nella “Casta” anche in questo pamphlet riescono nell’intento di suscitare almeno un po’ di scandalo tra i lettori.
Le uniche ricchezze che possiede il nostro Paese, il paesaggio, i siti archeologici, i musei, i borghi medievali, la bellezza, sono sotto attacco. Non abbiamo il petrolio, il gas, i diamanti o le distese terre per pascolare o per seminare, “abbiamo una sola, grande persino immeritata ricchezza – scrivono i due giornalisti – la bellezza dei nostri paesaggi, la bellezza dei nostri siti archeologici, la bellezza dei nostri borghi medievali, la bellezza delle nostre residenze patrizie, la bellezza dei nostri musei, la bellezza delle nostre città d’arte”
Nel 1 capitolo i giornalisti presentano un assurdo episodio di devastazione: l’utilizzo dell’Appia Antica, da parte delle auto blu dei politici, passando a cento all’ora davanti alla tomba di Cecilia Metella, accelerando e rallentando di basolato in basolato. “L’aggressiva violenza padronale a quella che forse è la più bella strada del mondo, percorsa con religioso stupore dai grandi viaggiatori del passato che la risalivano a piedi o a cavallo sostando alle catacombe di San Callisto, alla Villa di Massenzio, al tumulo dei Curiazi, non è solo una delle manifestazioni di mancanza di rispetto di una politica troppo occupata in altre faccende per porsi il problema del nostro patrimonio. Quelle gomme delle auto blindate che calpestano delicati selciati costruiti ventitré secoli fa per le quadrighe sono la metafora di come la classe dirigente di questo Paese calpesta quotidianamente i grandi tesori italiani”.

Probabilmente la maggior parte è consapevole che possediamo la maggior parte dei capolavori d’arte del pianeta, a volte capita sui giornali leggere le percentuali che più o meno salgono o scendono nel calcolare il nostro ingente patrimonio culturale. Comunque sia in tempi di nera crisi, “non abbiamo altre carte da giocare”, scrivono Stella e Rizzo, dobbiamo tutelare e riconoscere il nostro patrimonio per cercare di farlo fruttare e portare turisti in Italia. Ma per fare ciò occorre che scompaia lo scempio, l’aggressione al territorio raccontato nel libro Vandali. Lo scempio delle coste calabresi che non sono più quelle descritte dal veneto Giuseppe Berto, pazzo d’amore per Capo Vaticano e poi per le altre coste, dove troviamo palazzine senza intonaco, casermoni simili a grandi scatole, dove si esercitano geometri o ingegneri scadenti, ma questo accade in tutto il Sud e forse anche al Nord, dappertutto, un abusivismo da spavento. “E cosa fa la politica? Non ci prova neppure ad abbattere e risanare. Preferisce il lifting”.

A questo proposito, scrive Roberto Ippolito nel suo “Il bel paese maltrattato”: “(…) non si tratta semplicemente di un’offesa ripetuta al passato a all’aspetto: è un’offesa all’identità nazionale, al patrimonio che caratterizza il Paese, all’anima della vita quotidiana, ai tesori che rappresentano il cammino da ieri a oggi e sui quali si dovrebbe saper costruire anche il futuro. Un’offesa alla creatività e all’imprenditorialità. E quindi anche al turismo e all’economia”. Molti sono gli intellettuali, i grandi pensatori che hanno denunciato questo vandalismo diffuso, che hanno descritto la volgarità, la bestialità, l’ignoranza di questi nuovi vandali: proprietari, mercanti di terreni, speculatori di aree fabbricabili, imprese edilizie, società immobiliari, architetti e ingegneri senza dignità professionale, urbanisti sventratori, etc.
Tra i tanti nomi il libro cita Montanelli che prima di morire, maledì il nostro Paese che tanto aveva amato, scrivendo che le ruspe sono sempre in agguato per “dare sfogo all’unica vocazione di questo nostro popolo di cialtroni che non vedono di là dal proprio naso: l’autodistruzione”.
Del saccheggio sono responsabili non solo i politici, ma anche gli imprenditori, la finanza, quella mercantile, quella alberghiera, tutti. “Tutti, anche il cosiddetto uomo della strada: tutti abbacinati dall’irruzione dei cantieri, fabbriche di miliardi e di posti di lavoro(…)”. Stella e Rizzo fanno qualche esempio del “fatturato” di certe gallerie inglesi o americane, la “Tate Britain” e il “Metropolitan Museum”, il primo 76,2 milioni di euro, poco meno degli 82 milioni entrati nelle casse con biglietti di tutti i musei e i siti archeologici statali italiani messi insieme.

Come custodiamo le nostre ricchezze? Molto male, “ti prudono le mani a sapere che il tombarolo che ha scoperto e saccheggiato la villa di Caligola a Nemi non ha fatto un minuto di galera e quasi certamente non entrerà nel carcere”. Spesso questi tombaroli vendono le sculture a pezzi e magari hanno spaccato altre sculture o reperti importanti.
Il libro al 2 capitolo descrive lo scempio di Pompei, “mosaici a pezzi, randagi”, che pisciano nelle domus.

E di questi giorni un episodio che ha riportato “Il Giornale”, dove un suo giornalista, fingendosi turista, è riuscito a portare fuori dal sito pezzi di reperti senza che nessuno lo controllasse. “Lo zainetto pesa. È colmo di ruderi archeologici. Sono macerie di vecchie mura risalenti all’eruzione vesuviana del 79 d.C.: «vestigia del passato», le definirebbe Piero Angela, idem il figlio Alberto(…)Però so per certo che raccoglierle da terra e nasconderle nella mia borsa nera è stata la cosa più facile del mondo. Nessuno mi ha visto. Nessuno poteva vedermi. La ragione? Semplicissima. Attorno a me, nel raggio di decine di metri, non c’era neppure un custode, né una telecamera di sorveglianza. 
In compenso, durante la furtiva passeggiata col bottino archeologico a tracolla, ho incrociato lo sguardo stupito di qualche turista che, buttando un occhio alla mia borsa, forse è stato attraversato da un dubbio: «Ma che ci fa quello lì con la sacca piena di pietre. Non le avrà mica rubate?”.(Nino Materi, “Ho rubato reperti storici negli scavi di Pompei. Nell’indifferenza di tutti”, 3/7/14, Il Giornale)

L’episodio ha suscitato ampie polemiche, ma resta il fatto che l’immenso sito archeologico campano è a rischio di atti di vandalismo e nessuno riesce a poterli controllare. Peraltro era già successo un episodio simile descritto nel libro da Stella e Rizzo; sempre un giornalista, questa volta del “Mattino”, per dimostrare la disperazione di Pompei, un giorno nel 2010, si è impossessato per qualche ora di alcune tessere del mosaico delle “Fontane del Vigneto del Triclinio Estivo”, accanto alla “Palestra Grande”, erano ammonticchiate in una nicchia, prenderle e metterle in tasca è stato semplice. Chiaramente a Pompei c’è il problema della sorveglianza, i custodi non ce la fanno più, “è durissima tener d’occhio 66 ettari e 1500 domus, ‘camminando ore e ore su terreni accidentati”. In compenso, tra le macerie di Pompei si aggirano i cani randagi. Intanto il quadro che si presenta ai turisti è desolante o meglio allucinante. Dai bagni rotti e sempre sporchi, ai biglietti che non si trovano o che vengono venduti e poi rivenduti. E poi pare che il sito possa contare soltanto su un solo archeologo, un direttore degli scavi e di se stesso, che macina chilometri a piedi. Questo è il quadro del nostro “Museo archeologico all’aperto di oltre 60 ettari”, l’unico al mondo con queste caratteristiche.

SALVIAMO L’ITALIA DAI NUOVI LANZICHENECCHI.

Il giornalismo d’inchiesta di Stella e Rizzo non fa sconti a nessuno, così è stato con “La Casta”(2007), e poi con “Vandali”(2011).

Il 3 capitolo lo titolano proprio “Nelle mani di barbari e cannibali”, qui raccontano come a Nola in provincia di Napoli, si butta una incredibile fortuna. In pratica, scavando un terreno per fare un supermercato, casualmente è stato trovato un tesoro archeologico, un piccolo villaggio rimasto intatto, dell’età del bronzo: “una Pompei di quasi duemila anni più antica di quella annientata dall’eruzione nel 79 d.C. descritta da Plinio il Giovane”.
Certamente ha ragione Isabella Bossi Fedrigotti, citata da Stella e Rizzo, quando scrive che il nostro Paese possiede “troppi monumenti, troppe antichità, troppi beni artistici,- paradossalmente – veniamo al mondo già saturi del bello, come certi bambini ricchi stufi – e perciò incuranti – dei tanti giocattoli che ingombrano le loro stanze. Tuttavia, chi ancora si lascia incantare dallo splendore delle nostre innumerevoli piccole e grandi città, dalla grazia dei loro edifici, dall’armonia dei paesaggi, non può interrogarsi, incredulo e sconfortato, sulle misteriose e perverse ragioni che inducono all’incuria del territorio un popolo che al territorio – inteso come obiettivo turistico – spesso deve la sua sopravvivenza”.

Tuttavia è impossibile che lo Stato si prenda cura di tutto l’immenso patrimonio artistico, archeologico e culturale del Paese, “è doloroso ma va ammesso: non ci sono i soldi per ogni cosa che meriterebbe un intervento”, peraltro è anche impossibile fare un censimento di tutti i “pezzi” del nostro catalogo storico artistico abbandonati a se stessi.

Il libro “Vandali” elenca magistralmente i casi di abbandono dei nostri edifici come la splendida Reggia di Carditello, un tempo un’azienda agricola modello, costruita dai borboni. Rimasta in balia di ladri e teppisti, che dopo il restauro hanno cannibalizzato tutto quello che potevano.

E poi la Sicilia, l’isola più bella del mondo, dove “Italia Nostra” cataloga una serie fittissima di siti a rischio. Lo scandalo degli scandali è Selinunte, una meravigliosa area archeologica, qui ci sono fenomeni estesi di degrado, come il tempio di Apollo ingabbiato da 11 anni dalle impalcature solo perché nessuno le smonta. I due giornalisti affondano la loro penna sullo scempio di cemento armato, in località Triscina, a due passi da Selinunte, troviamo un ammasso di case, “completamente abusivo che detiene probabilmente il record mondiale di impunità(…)”.

E poi la “Statale 18”, lungo la costa tirrenica della Calabria, spesso in parallelo con l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, “un po’ la metafora del mezzogiorno disperato”. Si trovano alberghi, villaggi turistici, una manna per studi tecnici, geometri e ingegneri, immobiliaristi, cementisti, depositi di laterizi, condomini di seconde case, agenzie di affitti e costruttori edili. Un mondo che trabocca di locali, tra pizzerie e discoteche, passando per ipermercati e caffè, con tanti nomi esotici, magari ripresi dalla cultura greca, ma ai proprietari “non gliene importa assolutamente nulla del passato”.
In pratica in Italia nonostante abbiamo il più basso tasso di crescita demografica d’Europa, troviamo il più alto tasso di consumo del territorio. Oliviero Toscani sul “Sole 24 Ore” con ironia faceva riferimento alla regina Maria Antonietta, che oggi si sentirebbe chiedere: “Maestà, il popolo chiede cemento”, mentre in Italia, infuria il Terrore urbanistico e il peggiore degrado del paesaggio”.
Per Stella e Rizzo, “la responsabilità dello stupro del paesaggio non è solo della cattiva politica. E’ anche di tanti cittadini”. In questi giorni, sono andato al mio Paese natio, dall’alto della sovrastante collina, ho potuto vedere la sua trasformazione urbanistica, quasi uno scempio, con tante costruzioni, spesso abnormi simili a casermoni, peraltro vuoti, anche perché le nuove generazioni hanno dovuto abbandonare il paese in cerca di occupazione.

Ritornando al tema della tutela e alla salvaguardia del nostro patrimonio storico, il libro affronta la grave questione dei cosiddetti “tombaroli”, veri e propri nuovi barbari, senza scrupoli. Nel marzo 2008, il quotidiano madrileno “El Mundo”, titolava: “Italia, saccheggio del paradiso dell’arte”: Ogni anno, migliaia di pezzi vengono rubati da chiese, monumenti e musei italiani senza che le autorità siano capaci di porvi un freno. In Italia esistono più di 3500 musei e 2000 siti archeologici che sono costantemente saccheggiati da ladri senza scrupoli che vendono poi la merce al mercato nero.

Nel Paese con il maggiore patrimonio artistico e culturale dell’umanità, praticamente nessun tipo di opera pittorica, scultorea o architettonica è in salvo. Che siano piccole chiese di paese o grandi musei, i ladri non risparmiano nessuno e le istituzioni non sembrano in grado di proteggere i propri tesori”. Sempre un altro giornale spagnolo sottolinea che, “il 90% dei furti d’arte resta impunito”, inoltre, cosa grave, il traffico d’opere d’arte è oggi al quarto posto dopo quello di droga, armi e denaro sporco.
Spesso la sparizione delle opere nei musei o chiese non vengono subito scoperte. Il ministero dei beni Culturali ha stimato che in 35 anni sono scomparsi oltre un milione di oggetti. “Tesori che alimentano un traffico illegale forse ancora più redditizio, e certamente meno rischioso, rispetto a quello della droga. Un traffico che coinvolge tutti: dai piccoli tombaroli, alla criminalità organizzata, fino alle più rinomate case d’asta e i grandi musei internazionali”.

A questa gente in pratica non succede nulla, se la cavano senza fare neppure brutta figura sul giornale, viene depredato di tutto, beni librari, suppellettili, arredi sacri, persino cimiteri. “Il Sacco di Roma dei Lanzichenecchi nel 1527 e le spoliazioni napoleoniche dell’Ottocento sono eventi che impallidiscono se messi a confronto al volume dei furti del giorno d’oggi”. Spesso questi predatori lavorano di piccone, frantumando tutto per estrarre qualche statua o dipinto. Che cosa dovrebbe fare un Paese sottoposto a un tale saccheggio come il nostro? Per i due giornalisti, “dovrebbe avere regole feroci contro predatori, trafficanti, ricettatori. E’ in gioco la nostra memoria, la nostra faccia, la nostra storia. Il nostro turismo”. Ci sono i musei americani che acquistano reperti clandestini senza crearsi problemi. Il carcere non esiste per questa gente, non si processa per “direttissima”, anzi, si procede “per lentissima”.

Il libro riporta il caso della “Venere di Morgantina”, tagliata in tre pezzi perché era più facile da far sparire e portare al di là dei confini. E’ il metodo dei tombaroli, amputano le statue, spaccano i sarcofagi, tagliano e sezionano i quadri per venderli a tranche, come accadde qualche anno fa a un dipinto di Lorenzo Lotto. Peraltro una volta venduto un frammento, quello successivo può essere proposto a un prezzo ancora maggiore sempre allo stesso acquirente, invogliato a entrare in possesso dell’opera completa.

Potremmo continuare ma concludo con una citazione del più grande viaggiatore della storia, Johan Volfgang Goethe, che nel suo “Viaggio in Italia”, scriveva, forse capendo come andava a finire due secoli dopo: “Oggi sono stato alla Ninfa Egeria, poi alle Terme di Caracalla e sulla Via Appia a vedere le tombe ruinate e quella meglio conservata di Cecilia Metella, che dà un giusto concetto della solidità dell’arte muraria. Questi uomini lavoravano per l’eternità ed avevano calcolato tutto, meno la ferocia devastatrice di coloro che son venuti dopo ed innanzi ai quali tutto doveva cedere”.

RI-concludo con una stoccata polemica: è notorio che ormai da troppo tempo nella nostra amata Italia, la vita umana è facilmente calpestata in ogni sua fase, in particolare quella nel grembo delle madri (aborto), pertanto se viene così pesantemente ignorata la vita umana figuriamoci un reperto archeologico, un monumento, una chiesa o un palazzo.

 

LA BELLEZZA SALVERA’ IL MONDO. UNA LEZIONE IN UNA MOSTRA.

Qualche anno fa ho letto e recensito proponendolo ai miei lettori un volumetto scritto da Giovanni Fighera, “La bellezza salverà il mondo”, pubblicato dalle edizioni Ares di Milano.

L’autore in tempi dove imperversa il brutto e il ripugnante, propone coraggiosamente con forza lo studio della bellezza, attraverso la riscoperta del bello nell’arte e nella letteratura, nella filosofia e nella religione.

Il libro di Fighera potrebbe essere un ottimo strumento introduttivo alla Mostra ideata e curata dal professore Massimo Introvigne, “La via della bellezza: Ragionare sull’arte”. E’ una mostra di parole e immagini, che intende rispondere alla sfida e all’appello che Benedetto XVI ha lanciato il 21 novembre 2009 in un discorso agli artisti nella Cappella Sistina, in Vaticano a Roma.

La mostra ideata da Introvigne è composta da testi e immagini di 19 pannelli, utile “perché i credenti e non credenti possano meditare sulle diverse dimensioni del bello come porte che conducono al buono e al vero”. La mostra è stata patrocinata dall’IDIS (Istituto per la Dottrina e l’Informazione sociale) e dalla Regione Siciliana, I pannelli sono stati raccolti in un ottimo fascicolo, pubblicato nel 2013 dalle Edizioni Lussografica di Caltanissetta.

L’introduzione del fascicolo propone una frase paradossale di Dostoevskij, ripresa da Benedetto XVI: “l’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza il pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo”.

L’appello non è rivolto solo ai cattolici o ai credenti ma anche ai non credenti.“La chiamata alla bellezza è universale,e fa parte del nucleo intimo della persona umana”. E’ da qui che occorre ripartire, visto che secondo il teologo svizzero, Balthasar, sono stati esauriti gli argomenti a favore della verità e del bene, pertanto non resta che partire dal bello.

Secondo il professor Introvigne negli ultimi secoli, l’Europa ha assistito a uno indebolimento della percezione del bello, fino a raggiungere addirittura la bruttezza come fondazione. “C’è una certa abitudine alla bruttezza, al cattivo gusto, alla volgarità – si scrive in un documento del Pontificio Consiglio della Cultura del 2006. Promosso sia dalla pubblicità che da alcuni “artisti folli”. Tuttavia occorre stare attenti a chi propaganda una bellezza illusoria e mendace, superficiale, abbagliante, una tale bellezza, invece di attirare verso l’alto, imprigiona in se stessi e rende schiava la persona. E’ una bellezza ipocrita, “che – secondo Benedetto XVI – ridesta la brama, la volontà di potere, di possesso, di sopraffazione sull’altro e che si trasforma, ben presto, nel suo contrario, assumendo i volti dell’oscenità, della trasgressione o della provocazione fine a se stessa”.

Il tema della bellezza, dellavia pulchritudinis”, ha avuto sempre un ruolo centrale nel Magistero di Benedetto XVI, Introvigne, propone alla fine del fascicolo, cinque interventi del Papa sull’argomento. Il papa mette in risalto sia i capolavori dello stile romanico che quello gotico, entrambi ci ricordano che “la via della bellezza, è un percorso privilegiato e affascinante per avvicinarci a Dio”. Introvigne dedica un pannello (n.11), al viaggio compiuto da Benedetto XVI nella Repubblica Ceca del settembre 2009, quando il Papa fa uno splendido accostamento tra “la stupefacente bellezza delle chiese, del castello, delle piazze e dei ponti” di Praga, con il Palazzo, il cuore civile della città. il tutto, l’ambito religioso, che quello civile, non possono che orientare a Dio.

In questo “plastico” di costruzioni, secondo Introvigne, “vi è una profonda lezione sulla bellezza non solo degli edifici ma delle istituzioni dell’Europa cristiana, costruite nei secoli dall’incontro tra fede e ragione, distinte ma armonicamente vicine, che diventa incontro – non fusione, e tanto meno confusione – della Cattedrale e del Palazzo”.

L’itinerario della Mostra tradotto in parole e immagini, offre preziosi spunti per la riflessione e la meditazione, cito qualche passaggio: “Nella crisi, partire dal bello”. “La bellezza come ‘scossa’”: in un momento segnato da un generale “affievolirsi della speranza” solo la bellezza “può ridare entusiasmo e fiducia”.

Il bello è veramente bello se ci guida al “vero e al bene.– afferma Benedetto XVI – Diversamente si tratta di una bellezza falsa e vuota”. “L’arte ha bisogno della Chiesa, la Chiesa ha bisogno dell’arte”. Questa frase mi ricorda una relazione su l’insegnamento della Religione Cattolica di monsignor Caffarra, arcivescovo di Bologna, dove invita gli insegnanti a “servirsi molto dell’arte cristiana. L’opera d’arte coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, ed è una delle sintesi più perfette della fede cristiana e dell’esperienza umana”.

Possiamo trovare “la bellezza in azione” con le cattedrali del Medioevo, cui Benedetto XVI, ha consacrato, il 18 novembre 2009, un memorabile discorso. Al pannello 10, si pone una domanda ai visitatori: “Come possiamo capire oggi le cattedrali?” Per capirlo il papa propone S. Agostino. Al numero 11, viene posta l’attenzione sulla “Bellezza delle istituzioni cristiane”, per la riflessione si suggerisce, lo splendido agglomerato di edifici del centro della città di Praga. Al numero 13 si pone l’attenzione su uno dei pellegrinaggi più importanti della fede cattolica: Santiago de Compostela, dove si trova l’equilibrio tra “Fede e ragione, fede e arte”.

Resta un problema: “E’ possibile recuperare lo spirito delle cattedrali in un’epoca di Rivoluzione e di crisi? Sicuramente, anzi il Papa è convinto che anche oggi è possibile un’arte“amica della Chiesa” e porta gli esempi di Marc Chagall, Henri Charlier, ma soprattutto del servo di Dio Antoni Gaudì, architetto catalano candida alla beatificazione, autore della splendida opera architettonica de la Sagrada Familia a Barcellona. E proprio gli ultimi pannelli sono dedicati allo splendido capolavoro dell’architetto spagnolo, che ha costruito una chiesa che sintetizza tutta la fede cattolica, attraverso il trinomio: libro della Natura, libro della Scrittura, libro della Liturgia”.

 

S. Teresa di Riva ME, 10 agosto 2013

Festa di San Lorenzo                                                                       DOMENICO BONVEGNA

                                                                                                                            domenicobonvegna@alice.it

 

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