GLI STUDENTI DI HONG KONG RIUSCIRANNO AD INCRINARE IL SISTEMA COMUNISTA DI XI PING?

E’ importante studiare le dinamiche della rivolta degli studenti di Tienanmen nel 1989 per capire se oggi gli studenti Hongkonghesi hanno la possibilità di incrinare il comunismo cinese di XI PING…

Conoscere e studiare le varie fasi della rivolta studentesca di Pechino tra l’aprile e il maggio del 1989, che sfociò poi nel massacro di Piazza Tienanmen, potrebbe essere utile anche per capire il perchè è fallita. Ma soprattutto potrebbe essere utile oggi alle organizzazioni studentesche di Hong Kong che da mesi stanno manifestando e resistendo alle pressioni politiche del Partito Comunista cinese di Xi Ping.

Infatti alla domanda che si pongono i giornalisti: “chi c’è dietro questa accanita resistenza dei giovani di Hong Kong?” Naturalmente la cultura del sospetto viene alimentata dal governo di Pechino, come allora nell’89. Tuttavia, «al di là delle parole di Donald Trump, di Angela Merkel e di qualche diplomatico britannico – che chiedono alla Cina di andare cauta – nessuno finora ha sposato la causa del movimento anti-estradizione e democratico. Troppi governi, anche quello italiano, vogliono rimanere partner della Cina ad ogni costo, senza infangare i loro sperati commerci con la polvere e il sangue dei giovani per le strade di Hong Kong». (B. Cervellera, “Chi c’è dietro i giovani e le proteste di Hong Kong”, n. 329, Ottobre 2019, Asianews)

Tra i gruppi più attivi in questi mesi c’è il Fronte civile per i diritti umani, che comprende 48 gruppi pro-democrazia; poi vi sono decine di associazioni studentesche e universitarie; infine tutti i gruppi nati da Occupy Central. Il 60% dei manifestanti sono giovani al di sotto dei 29 anni. Tuttavia ancora non è chiaro se il resto della popolazione è con gli studenti, anche se però nelle ultime elezioni, hanno vinto i partiti filo democrazia.

Chi scende in piazza è composta da persone «nate dopo l’Handover del 1997: non hanno vissuto il passaggio e vedono avvicinarsi la scadenza del 1947 come un’apocalisse che cadrà a metà della propria vita, privandole della libertà di cui hanno sempre goduto: ‘nel 2047, se la città tornerà alla Cina, gli abitanti originari se ne andranno…Non esisterà più Hong Kong’, dichiara un giovane manifestante […]». (Walter Maccantelli, “Hong Kong: la porta della Cina”, in Cristianità, n.398, luglio-agosto 2019)

Tuttavia per Maccantelli, che ha fatto uno studio accurato, «l’espressione rivelatrice è: ‘se la città tornerà alla Cina’ […]Quel “se” lascerebbe intendere che, almeno una parte dei manifestanti, più che una rivolta abbia in mente una vera e propria rivoluzione». Anche se in conclusione Maccantelli individua nel movimento dei Hongkonghesi una certa «liquidità della struttura politica e la mancanza di riferimenti ideali radicati», e questo da un lato potrebbe assicurare ai manifestanti un «certo mimetismo che rende difficile la loro individuazione da parte della macchina della repressione, dall’altro lato li rende anche molto deboli sul piano dell’efficacia pratica delle loro azioni e fragili su quello della tenuta nella media e lunga distanza[…]». (Ibidem)

Anche trent’anni fa con la rivolta di piazza Tienamen, non era chiaro se la maggioranza della popolazione stava con le proteste dei giovani studenti. Mi è capitato di leggere e presentare l’anno scorso un libro ben documentato, tradotto e pubblicato in Italia da Rizzoli nel 2001: “Tienanmen”, scritto da due americani e un cinese, si tratta di centinaia di documenti che provengono dal vertice del Partito e dello Stato. Quasi 600 pagine che raccontano le varie fasi della protesta degli studenti. Il testo nonostante la documentazione però non evidenziava la questione della collaborazione dei studenti con le altre forze sociali del Paese.

Per la verità in Italia i libri che si occupano della rivolta studentesca del 1989 sono abbastanza pochi.

Una descrizione della rivolta, e soprattutto dei rapporti tra studenti e lavoratori si trova nel libro “L’imperatore e l’elettricista. Il sogno di Dongfang, Tienanmen e i giorni del coraggio, di Cecilia Brighi, Baldini Castoldi Dalai editore (2011). La Brighi, impegnata nell’attività sindacale del dipartimento politiche internazionali della CISL, forse è l’unica italiana che ha scritto un libro sui ragazzi di Tienanmen.

Sarei curioso di capire se il testo è stato adeguatamente divulgato soprattutto nell’ambito della sua organizzazione sindacale, che non sembra particolarmente sensibile ai temi dove viene messo in discussione il socialismo reale.

Il libro ruota intorno a un ragazzo lavoratore Han Dungfang, originario da un paese povero dello Shanxi, che credeva molto nel partito comunista, si arruola nell’esercito, ma la corruzione dilagante lo costringe ad abbandonare la divisa e diventare un elettricista nelle ferrovie statali.

Casualmente Dongfang si trova in piazza Tienanmen invasa dagli studenti, accorsa per onorare il leader Hu Yaobang, ben presto la sua figura diventa un punto di riferimento dei lavoratori, organizzando la Federazione Autonoma dei Lavoratori.

Del testo prendiamo in considerazione la partecipazione del nostro protagonista alla rivolta degli studenti cinesi. Nel testo la Brighi fa emergere la difficoltà di relazione tra gli studenti e i lavoratori. Il movimento degli studenti diffidava dei lavoratori. Infatti secondo il Comitato di coordinamento delle università, «la piazza doveva rimanere in mano agli studenti. Le richieste, tutte legittime, erano diverse e non dovevano essere confuse». Mentre i lavoratori erano convinti che le loro richieste erano più concrete di quelle degli studenti. «Non possiamo accettare che gli studenti si comportino come degli aristocratici e rifiutino la solidarietà operaia e la nostra protezione». I lavoratori intravedevano una certa «arroganza intellettuale negli interventi di quei giovani. Sentivano una sorta d’impercettibile superbia verso gli operai, sicuramente ignoranti e meno in grado di affrontare complesse discussioni ideologiche».

Intanto nel partito comunista cinese temeva proprio il legame che si profilava tra gli studenti e i lavoratori che venivano considerati dei naturali alleati. Infatti i responsabili del Partito avevano inviato in tutti i luoghi di lavoro della capitale, una direttiva per bloccare il nascente legame tra i lavoratori e gli studenti.

Ecco perchè Dungfang in qualità di capo dei lavoratori aveva capito la paura dei capi comunisti, che ormai erano divisi tra di loro, «per questo era più che urgente rafforzarsi e creare un legame con i ragazzi di Pechino […]». Dongfang, «si rese improvvisamente conto che il Partito non solo cercava di attaccare gli studenti, ma che quello che più preoccupava il governo era proprio la loro piccola, embrionale organizzazione […]i burocrati del Partito temevano proprio la mobilitazione generale dei lavoratori. Contro una simile eventualità non avrebbero potuto reggere». Probabilmente alla “Primavera di Pechino” è venuta a mancare proprio questa mobilitazione massiccia perchè potesse avere successo sul potere comunista.

Intanto le organizzazione degli studenti e dei lavoratori, nonostante le divergenze concordarono che era indispensabile convocare una conferenza stampa con i giornalisti stranieri per presentare una strategia comune.

«Così mentre i vecchi leader ragionavano animatamente per cercare una via di uscita onorevole, per riportare l’ordine nel paese, gli studenti presentavano al mondo la loro piattaforma elencando i sostegni ricevuti da varie personalità della cultura[…]».

Intanto la Piazza Tienanmen diventa la protagonista esemplare della protesta non solo dei studenti, ma anche migliaia di lavoratori delle fabbriche, degli uffici, dei cantieri arrivano con ogni mezzo in piazza. Dopo la visita di Gorbacev e la dura protesta di sciopero della fame, dopo aver riflettuto a lungo, i dirigenti comunisti dichiarano la legge marziale in tutto il paese. Scrive la Brighi: «si stava costruendo quello che Li Peng e Den Xiaoping temevano: un’alleanza tra studenti e lavoratori e si stava per consumare anche il dramma. La capitale sembrava essere fuori controllo […] Milioni di persone accalcate giorno e notte nella grande piazza mangiavano, urinavano, dormivano, discutevano».

La diffidenza continua a persistere tra lavoratori e studenti. Dongfang autorizzato a discutere con gli studenti è chiaro sul tema : «Noi lavoratori e voi studenti siamo sulla stessa barca. Dobbiamo smettere di guardarci con diffidenza. Invece dobbiamo collaborare. Dobbiamo sapere che potremo vincere, solo se saremo uniti!»

Da questo momento il testo della Brighi riporta giornalmente la cronaca della piazza, da una parte i manifestanti che hanno il sostegno popolare, almeno così sembra dai numerosi gesti di solidarietà che il libro registra, dall’altra il potere dei vecchi burocrati comunisti asserragliati nel palazzo, nel fortino del Zhongnanhai.

Cominciano ad arrivare i città le truppe militari, oltre ventidue divisioni, in un primo momento circondati da migliaia di cittadini disarmati e pacifici.

Dal racconto del libro pare che gli studenti siano riusciti a organizzare una straordinaria opposizione alla legge marziale, sono arrivati a portare un milione di persone in piazza. Mentre nella descrizione della giornata del 26 maggio, dalle parole di Dogfang emergono ancora le incomprensioni tra studenti e lavoratori: «gli studenti s’illudono se pensano che potranno ottenere la democrazia, senza coinvolgere poi i lavoratori. Anche perchè prima o poi dovremo lasciare la piazza[…]».

Si giunge agli ultimi giorni del 2 e del 3 giugno, quando le forze militari con tutti i suoi effettivi, stringono in una morsa la città e soprattutto la piazza. Sui militari occorre fare una precisazione, si tratta per lo più giovani, venuti da regioni lontane della Cina, proprio per non avere nessun rapporto con la popolazione della capitale. Anche in questo libro la descrizione della battaglia è abbastanza particolareggiata, c’è la testimonianza di Robin Munro, un giornalista in rappresentanza di una organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani.

Leggere i particolari della brutale repressione nella piazza Tienanmen del cosiddetto Esercito di Liberazione comunista cinese contro manifestanti che si difendevano a mani nude, è una sensazione che dovrebbero provare in tanti, soprattutto quelli che ancora dopo tanti anni di prove ben documentate sono sono ciechi e sordi all’evidenza della perversità dei sistemi comunisti del passato e del presente.

In conclusione occorre evidenziare che l’elettricista Dungfang dopo i la strage di Tienamen viene incarcerato e torturato per fargli fare i nomi degli altri capi dei lavoratori, alla fine viene scarcerato su pressioni internazionali. Si stabilisce a Hong Kong, dove conduce una trasmissione radiofonica SU “Radio Free Asia” sui diritti del lavoro negati ed ha fondato e dirige il China Labour Bulletin, organizzazione che sostiene i lavoratori cinesi che si ribellano allo sfruttamento della nuova rampante dittatura di mercato. Oggi scrive nella prefazione Renata Pisu, Han Dongfang è diventato il Walesa cinese, il vero paladino dei diritti di milioni di lavoratori.

 

Quinto de Stampi MI, 23 dicembre 2019

Festa di S. Giovanni da Kety                                                     Domenico Bonvegna

                                                                                             domenico_bonvegna@libero.it

Il messaggio trovato da una bimba inglese. I negozi Tesco sospendono il fornitore cinese

La cartolina di Natale è un Sos «Siamo prigionieri a Shanghai»(credito: The Sunday Times/News Licensing)
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Un testo di poche righe, tutto in maiuscolo: «Siamo prigionieri stranieri detenuti nel carcere di Qingpu a Shanghai. Siamo costretti a lavorare contro la nostra volontà, per favore aiutateci e denunciate il nostro caso ad un’organizzazione per i diritti umani». Un Sos talmente assurdo da essere scambiato di prim’acchito per uno scherzo anche dai genitori di Florence. All’incredulità è poi subentrato lo choc: si fa beneficenza con i lavori forzati? Pare un ossimoro, e se fosse vero? Un indizio ha aiutato la coppia a fare chiarezza: sul bigliettino c’era anche l’indicazione di contattare un certo Peter Humphrey. Il padre della bambina lo ha cercato su Google scoprendo che si trattava di un giornalista britannico che aveva trascorso due anni nella stessa prigione, a Shanghai, condannato per violazione delle leggi cinesi sulla vita privata mentre lavorava lì come investigatore antifrode per conto della multinazionale farmaceutica GlaxoSmithKline.

È stato lui a raccontare la storia sul Sunday Times. «Quando ho ricevuto via Linkedin il messaggio del signor Widdicombe mi sono ripiombati addosso quei due anni terribili» ha scritto. Poi alla Bbc ha spiegato: «Quando ero recluso io si trattava di lavoro volontario, che tornava utile per le piccole spese. Ma nell’ultimo anno è diventato obbligatorio».

Tesco ha annunciato di aver avviato un’indagine e ha subito sospeso il contratto con il suo fornitore cinese: «Nella nostra catena di fornitori non è ammesso l’uso del lavoro carcerario», ha spiegato un portavoce. La società di Shanghai che produceva i biglietti natalizi è stata oggetto di un audit anche il mese scorso, si difende la multinazionale che quest’anno punta a ricavare 300mila sterline dalla vendita di cartoline benefiche, da devolvere a British Heart Foundation, Cancer Research Uk, e Diabete Uk. Ma a beneficiare dell’operazione pare sia stato in primis il sistema carcerario cinese, il più popolato al mondo dopo gli Usa con 2,3 milioni di detenuti. Non è facile per le società straniere verificare se le catene di approvvigionamento siano collegate al lavoro carcerario. Ma il prezzo (soltanto 1,5 sterline per una confezione da 20 biglietti) e il tipo di prodotti deve mettere in guardia. Senza aspettare un’altra Florence.

Corriere della Sera, Esteri, 23 dicembre 2019.

 

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